XXIV Giornata mondiale della Libertà di Stampa
L’articolo 21 della Costituzione recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo adottata il 10 dicembre 1948 leggiamo all’articolo 19: “Ogni in individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”.
Tutto ciò in teoria e sulla carta ufficiale. Nella realtà la situazione è un tantino diversa, in peggio, molto peggio. Negli ultimi dieci anni oltre 600 giornalisti sono stati ammazzati e gran parte di loro non si trovavano in zone di guerra. Ogni dieci omicidi di giornalisti ben nove restano impuniti. Senza, poi, contare le migliaia di intimidazioni, minacce, violenza e tortura che riserva una notizia o un commento.
Dal 29 aprile al 3 maggio 1991 a Windhoek, in Namibia, l’Unesco promosse un seminario per promuovere il pluralismo e l’indipendenza della stampa africana. A conclusione dei lavori fu redatto un documento che porta il nome di Dichiarazione di Windhoek, nel quale si affermano i principi in difesa della libertà di stampa, del pluralismo e dell’indipendenza dei media come elementi fondamentali per la difesa della democrazia, della libertà ed il rispetto dei diritti umani.
L’Assemblea Generale dell’Onu nel 1993 ha dichiarato il 3 maggio Giornata mondiale della libertà di stampa. Ed oggi festeggiamo la XXIV Giornata.
Reporter sans Frontières nei giorni scorsi ha pubblicato la graduatoria mondiale sulla libertà di stampa. L’Italia occupa la 52ma posizione e ha fatto un salto di 25 gradini rispetto all’anno precedente quando era al 77° posto, ha additato Beppe Grillo come uno dei principali responsabili del degrado informativo italiano. Il leader del M5s rimane sbigottito ritenendosi immune da colpe e peccati e il giorno successivo durante il suo show al
Teatro Goldoni di Livorno replica: “In sala stasera ci sono giornalisti, guardate, sono qui e prendono appunti. Estrapolano pezzi di frasi e poi fanno i titoli sui giornali. Poi dicono che sono io pericoloso per l’informazione. Guardateli in faccia e ricordatevi di loro”. Avviso ai naviganti.
Il 24 maggio 2014 Andrea Rocchelli si trova in Ucraina, dal 18 febbraio si susseguono scontri tra l’esercito e i ribelli che non vogliono recidere il cordone ombelicale con Mosca. È in atto una guerra civile, il presidente Viktor Yanukovych scompare dalla circolazione. A marzo la Crimea con un referendum approva l’annessione alla Russia. Ad aprile nell’Ucraina orientale i ribelli combattono e occupano diversi palazzi governativi. I paesi occidentali accusano la Russia di sostenere i ribelli. Si contano diverse decine di morti.
Andrea Rocchelli, classe 1983, è un fotoreporter freelance. Si appassiona alla fotografia sin dall’adolescenza e dopo la maturità scientifica a Pavia ed un master alla Facoltà di Visual Design al Politecnico di Milano comincia a girare il mondo alla ricerca di focolai di guerra o di situazioni di estremo disagio per immortalare la sofferenza di quanti la sofferenza non la vogliono ma la subiscono. Le sue foto vengono pubblicate su importanti quotidiani e rotocalchi internazionali.
Subito dopo l’inizio della guerra civile in Ucraina Andrea, gli amici lo chiamano Andy, decide di riprendere il dolore e l’innocenza in quella regione sotto assedio, a metà maggio va a Kiev. Sono giorni cruciali per il Paese che ad ottobre deve tornare al voto per eleggere il nuovo Parlamento.
Nel suo lungo girovagare ha stretto profonda amicizia con Andrey Mironov, che diviene suo consulente ed interprete. Costui è un ex dissidente antisovietico il quale si era illuso che con la caduta del Muro a Mosca e dintorni sarebbe piovuta la manna della libertà e della democrazia. Gli fanno scontare parecchi anni di lager, era amico di Anna Stepanovna Politkovskaya la giornalista assassinata il 7 ottobre 2006 per il suo impegno nella lotta ai diritti umani e per la sua avversione a Vladimir Putin.
Quel 24 maggio di tre anni fa l’auto sulla quale viaggiava Andy si trovava il conducente, di lui si sa poco tranne il nome Evgeny, il fotoreporter francese William Roguelon e l’amico Mironov. Ufficialmente si è sempre parlato di quattro persone presenti nell’autovettura ma dalle foto scattate da Andy poco prima di chiudere gli occhi si intravede una quinta persona.
In un’imboscata nei pressi di Sloviansk l’auto è colpita da diversi colpi di mortaio e perdono la vita Andrea Rocchelli e Andrey Minorov.
Ciò che si conosce sulla dinamica dell’accaduto è tutto molto vago né tantomeno le autorità ucraine si sono preoccupate di indagare ed accertare. Dopo lunghi e ripetuti solleciti da parte della Procura di Pavia, dell’ambasciatore italiano a Kiev, del ministero degli Affari esteri, di una rogatoria internazionale finalmente ad ottobre 2016 dall’Ucraina è pervenuto il corposo fascicolo sul duplice omicidio con decine e decine di pagine lacunose e prive di riscontri oggettivi a partire dalle testimonianze, e carenti di particolari fondamentali. Mancano le testimonianze del fotoreporter francese, dell’autista. Non ci sono dichiarazioni di militari che pure erano presenti nei paraggi.
Non ci sono perizie balistiche valide, non hanno voluto accertare la traiettoria, il tipo di proiettile. Sono stati quasi costretti ad ipotizzare che i colpi potrebbero essere partiti anche dalle armi in dotazione ai militari dell’esercito presenti sul posto, l’hanno fatto confusamente e vagamente.
Carenze e lacune gigantesche volute e cercate.
A Kiev sanno bene di trovarsi in una botte di ferro per via della loro strategia politica a favore dell’Europa e degli Stati Uniti e fortemente contraria alla Russia e a Vladimir Putin. Si sentono tranquilli anche perché sanno che il governo italiano non possiede una colonna vertebrale rigida capace di farsi rispettare, il caso dei due marines prigionieri a lungo in India docet.
Altro caso. Dopo mesi di batti e ribatti siamo ancora al punto di partenza con il caso Giulio Regeni, scomparso il 25 gennaio 2016 e ritrovato cadavere il 3 febbraio.
Si è risolta positivamente, invece, la vicenda di Gabriele Del Grande arrestato dalla polizia turca il 9 aprile scorso e rilasciato il 23. A tuttora, però, non si sa per quale ragione il giornalista lucchese sia stato trattenuto nelle prigioni di Erdogan e neppure i responsabili della diplomazia hanno insistito presso le autorità competenti per conoscere le motivazioni.
Nei lager di Erdogan vi sono ancora circa 200 giornalisti in attesa di sapere il motivo per cui sono stati privati della libertà. E nessuno interviene.
Arnaud Daniels
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