Non resta che la classifica dei bomber?
Dzeko, Belotti, Icardi, Higuain, Mertens e Immobile.
Le prime quattro in classifica ci sono. Inter e Toro, con il loro bomber, fanno eccezione. All’appello, fra le squadre dai 50 punti in su, mancano i rappresentanti di Atalanta, Milan e Fiorentina.
Non resta, dunque, che questo per mandare in archivio il campionato? È ormai tutto deciso?
I tifosi di Genoa, Empoli e Crotone di certo non la pensano così, perché per le loro squadre del cuore qualcosa può ancora capitare.
Per tutte e tre quel che resta da giocare, l’ultimo trio di gare, non sarà agevole e per le avversarie da affrontare e per l’orgasmo che le attanaglierà.
Il Crotone sta rendendosi protagonista di una bella e brillante serie positiva, ma è quello più attardato e il recupero di 4 e 5 punti in tre sole gare sembra davvero impossibile.
D’altro canto, con Pescara e Palermo, i calabresi sono stati al fondo della classifica per tutto il torneo e proprio valutando questo dato parrebbe quasi consequenziale la loro discesa fra i cadetti.
Ci sarà comunque da lottare e da soffrire.
Sempre in questa dimensione di retrocessione sorprende il Genoa, partito bene, affossato dai tanti cambi di guida e domenica come risorto superando l’Inter.
Una Milano in grigio davvero in quest’annata. Se il Milan, tanto quanto, qualche cosa di buono è riuscito a mettere insieme, pur restando al di sotto delle aspettative della tifoseria, l’Inter, procedendo a corrente alternata ha prima deluso, poi fatto sperare ed ora, in questo scorcio finale, disilluso i suoi sostenitori.
L’implacabile volubilità degli umori calcistici ha portato dapprima ad osannare il trainer Stefano Pioli come agente salvifico di una situazione drammatica, ora a denigrarlo come incapace di fare gruppo, di motivare i suoi giocatori. Viene da chiedersi comunque, nella babele di lingue che alcune nostre squadre ospitano, Inter in testa, fino a che punto a un trainer chiamato a parlare l’esperanto per farsi da tutti comprendere possano attribuirsi tutte le colpe.
Il cielo buio e grigio di Milano si trasforma in azzurro schietto per la Capitale e non solo per la maglia dei laziali. Le due romane mai come quest’anno hanno sciorinato un ottimo calcio. Se solo la Roma avesse dato segnale di maggiore carattere e fosse stata meno coinvolta in discussioni e polemiche alla fine sterile e fuorvianti, visto il meraviglioso comportamento della squadra allenata da Simone Inzaghi, il quadro calcistico capitolino si sarebbe presentato ancora più sfavillante di così. La polemica Spalletti-Totti ha corroso poco a poco l’ambiente fino ad esplodere proprio domenica con altre esternazioni. Si lamenta la mancanza di presa di posizione da parte della Società,
ma a chi osserva da fuori essa appare comprensibile, se non sotto il profilo dirigenziale, di certo sotto quello strategico: in qualunque modo si esprimesse scontenterebbe qualcuno: da una parte l’allenatore che non è comunque l’ultimo arrivato,
dall’altra il monumento Totti e con lui tutto il gran seguito di tifosi che lo adorano. C’è anche da dire che prendere coscienza dei limiti che il passare del tempo impone a tutti, e in modo specifico e speciale a un atleta, è segno di maturità e di intelligenza. Né si riesce a comprendere come giocare pochi minuti possa accontentare un campione assoluto come lui.
Di gagliardo in questa 35° giornata, oltre alla raffica di gol rifilati dalla Lazio alla Sampdoria e la sempre brillante dimostrazione di forma del Napoli di Sarri, c’è stato il derby di Torino. Dapprima Allegri ha preferito schierare le seconde linee, immaginando di tenere a riposo qualche suo pezzo da novanta. Poi, quando il Toro è passato in vantaggio, ha cambiato parere e gettato nella mischia i suoi assi.
La perla di giornata, comunque, va ascritta al granata Ljajic che ha piazzato una punizione da cineteca: la palla, accarezzata con delicatezza è andata letteralmente a baciare l’incrocio dei pali del portiere juventino, lì, in quell’angolo neppure san Buffon ci sarebbe arrivato. Una rete spettacolosa che segnala non solo l’abilità tecnica dell’autore, ma quanto, con un poco di volontà in aggiunta, il giovane slavo possa diventare un autentico campione. Gli basterebbe poco, pochissimo in fatto di mentalità e atteggiamento. L’esplosione di rabbia del trainer granata Mihajlovic all’atto dell’espulsione di Acquah se è comprensibile non è giustificata (anche se gesti di ribellione di questo tipo piacciono da matti alla piazza granata). Fino alla fine il Toro si è illuso di farcela e sembrava che così dovesse andare, dal momento che la porta granata pareva stregata, visti i tanti sbagli sotto rete degli juventini. Ma, come diceva Boskov, “partita finisce quando arbitro fischia” e a un minuto dal termine l’arbitro non aveva ancora fischiato. La zampata di Higuain è stata come un colpo al cuore per i granata, molti dei quali si sono gettati a terra sfiniti nel fisico e spompati dal gol bianconero. Ad oggi, dopo undici anni di presidenza, il patron del Toro Urbano Cairo è riuscito a portare a casa una sola vittoria nelle stracittadine. Davvero un po’ poco per un blasone come quello del Toro.
Franco Ossola
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