La storia si ripete è finale Juventus – Real Madrid
Forse mai come questa volta in oltre 60 anni di storia, la prima edizione risale al 1955-1956, si sapeva con 90’ di anticipo la coppia che avrebbe disputato la finale. Persino i più pavidi bookmaker avevano puntato su Juventus-Real Madrid. Vuoi per il blasone parecchio meno decorato del Monaco e dell’Atletico ma vuoi, innanzitutto, perché la gara di andata se l’erano giocata, anzi l’avevano regalata, senza la dovuta accortezza, concretezza e grinta che richiede ed impone una semifinale di CL.
Troppa la differenza concreta e messa in campo tra le due vincenti e le due perdenti. Se poi si fa un passo indietro e si torna ai quarti e ci si accorge che due club che vantano un palmares di spessore mondiale, l’ovvio riferimento è al Bayern e al Barcellona, erano state estromesse per aprire le porte alle novità tattiche e di giovani e promettenti speranze, allora viene da mordersi il gomito.
Leonardo Jardim nelle ore precedenti il ritorno aveva proclamato e riproclamato che Mbappé e soci avrebbero potuto espugnare lo J Stadium e decollare con destinazione Galles. Ovvio che tali enunci ed editti non possono togliere il sonno alla Premiata BBC & DHM né tantomeno generare ansia e tormento.
Con franchezza occorre rammentare al tecnico monegasco che sia Mbappé che Falcao che il resto della sua compagnia non appartengono alla categoria di fuoriclasse in grado, da un momento all’altro, di tirar fuori dal cilindro del proprio repertorio balistico e tecnico il colpo vincente del ko. Se Big Gigi non ha temuto tale Lionel Messi da Rosario, avrebbe potuto temere i due o tre campioncini del Principato?
Difatti così è stato.
Come oramai accade da tempo immemore lo J Stadium è completo nelle quattro direzioni. Se i record sono stati inventati per essere abbattuti,
la Juve nella nuova bomboniera ne ha fatto una strage. Altro boom quello degli ascolti tv, superati abbondantemente i 10 milioni.
Gioiscono per le vittorie della Juve persino in casa Berlusconi.
Prima di passare al tripudio serve una lettura delle pagine precedenti. Un pro memoria per Jardim. Sino a questa sera nessuna formazione francese ha mai violato lo stadio bianconero; non perde a Torino in CL dal 2013 ed in questa edizione ha subito solo un gol; nelle due precedenti trasferte dei monegaschi a Torino nel 1998 terminò 4-1 e nel 2015 per 1-0.
Che Leonardo, non Bonucci ma Jardim, voglia umiliare la storia e la tradizione appare un gesto temerario. La realtà è un tantino differente.
Forse tra i tanti scongiuri che il mister di Montecarlo invoca l’unico effetto che produce è il cambio
di Khedira al 10’ per noie muscolari ma lo sostituisce il principino di Corso Galilei Ferraris che proprio l’ultimo arrivato non è, il rinomato Claudio Marchisio.
Per il resto poche emozioni e pochissime palpitazioni. Anche perché le retrovie piemontesi non consentono agli avanti biancorossi di entrare in area, questi punzecchiano in superficie e mai in profondità. È invece Higuain a trovarsi a tu per tu con Subasic ma non approfitta come suo costume, siamo già al 22’. Gonzalo si fa perdonare immediatamente e dopo 3’ serve una sfera d’argento a Mandzukic, però Marione si lascia incantare dal portiere avversario e rimanda l’esultanza. È il giusto appiglio alla gara che si chiede a Massimiliano Allegri. Vincere, vincere e convincere. Sempre e ovunque.
Solo in questa maniera qualsiasi avversario, che si chiami Real o si chiami Crotone, si preoccuperà della formazione da mandare in campo. È la nuova mentalità che Max è riuscito ad inculcare a se stesso e all’intera rosa a sua disposizione, dote e caratteristica che difettava e che nel momento in cui si valicavano le Alpi si evidenziava maggiormente.
È un grande merito che gli va riconosciuto.
Al 33’ (anche per gli scaramantici) Marione sottoscrive l’1-0. Prova di testa e Subasic respinge, riprende e poggia in rete. Potrebbe raddoppiare ma preferisce non infierire anche perché al 44’ Big Gigi incassa un altro record: la maggiore imbattibilità italiana in CL, detenuto dal Milan con 641’.
Nel momento in cui il portierone carrarese depone in bacheca l’ennesimo diploma, Dani Alves pennella una delizia per Dybala dal cui piede vellutato viene fuori un tiro che Subasic devia in angolo. Dal corner scaturisce uno di quei gol che rimarranno nella memoria e che fra 30 anni proseguirà ad essere applaudito. 2-0 ed apoteosi in campo e sugli spalti. Un destro al volo che premia il brasiliano e la sua splendida forma di fine stagione. Di quelli che appassionano e fanno godere.
La ripresa si differenzia poco. Cuadrado al posto di Dybala. Al 69’ il Monaco evita l’umiliazione del ritorno a casa a mani vuote. Mbappé approfitta di un’incomprensione difensiva e accorcia le distanze con la difesa juventina già imbarcata sul volo per Cardiff. Ci sta.
Al 72’ il pavido cordonnier Kamil Glick, polacco alla pari di Zbigniew Kazimierz Boniek (mai entrato in simbiosi con la tifoseria juventina nei tre anni vissuti a Torino anche per le cavolate che ama esternare sul suo passato bn), convinto di trovarsi in un campo di patate con pusillanimità lascia il marchio dei tacchetti sulla coscia di Gonzalo, già a terra per un fallo precedente. Gesto da milord dello sport, per sua fortuna a fine gara non ha superato se stesso andando a chiedere ad Higuain o altri lo scambio di maglia. Il signor Glick nella fretta di rientrare nello spogliatoio si è persino dimenticato di chiedere scusa per il calpestamento. Coerente.
Allegri e Buffon nel dopo gara hanno confermato di possedere il 50 percento di possibilità di rientrare dal Millenium Stadium gallese con l’agognata Coppa, ma che impiegheranno il 201 percento delle loro energie e risorse per depositarla nella vetrina dei trionfi di Corso Galileo Ferraris. Consapevolezza e pacato ottimismo, peculiarità che evidenziano concretezza e piedi ancorati alla terraferma.
Lo spumante, rigorosamente doc, è in frigo e si tratta solo di pazientare.
Le legioni juventine attendono dal 22 maggio 1996. Con questa è la nona finale che disputa la Juve.
Con l’occhio e l’orecchio distratto abbiamo guardato le triangolazioni del Vicente Calderon. Una percentuale irrilevante di aficianados incrociava le dita, tutto il resto assisteva alla gara per inerzia e consuetudine. Magari qualche accelerazione di battito cardiaco lo si è avuto sul 2-0, Saul al 12’ e Griezmann al 16’ dal dischetto, ma a questo punto Zizou Zidane ha fatto capire ai blancos che la ricreazione era terminata e dovevano rimboccarsi le maniche per arginare la veemenza biancorossa.
E così al 42’ Isco chiarisce il concetto e brucia le superflue speranze dell’Atletico. 2-1 ed il capitolo semifinale si chiude in anticipo.
Visto che le mamme degli imbecilli non hanno passaporto, un nutrito gruppo di presunti tifosi biancorossi ha preso di mira con sassi e altro il pullman del Real mentre si dirigeva verso lo stadio, ma essendo oltre che imbecilli anche poco dotati di mira sono stati dispersi dal massiccio intervento della Guardia Civil.
Il 20 maggio 1998 all’Arena Amsterdam si disputa la finale CL tra Real e Juventus.
Al 67’ Mijatovic brucia Angelo Peruzzi e trasferisce la coppa a Madrid. Tra i ragazzi di Marcello Lippi vi è Zizou, come pure Paolo Montero, Didier Deschamps, Pippo Inzaghi e Alex Del Piero.
Il montenegrino segna in netto fuorigioco però l’arbitro chiude gli occhi, la Juve è in vena di regali e concede numerose occasioni propizie, merita di vincere per quantità e qualità di gioco ma non ha la capacità di superare Bofo Illgner.
Nella formazione del Real vi è Christian Panucci.
Quel rospo ancora non è stato digerito a distanza di quasi 20 anni.
Raimondo Adimaro
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