Per l’Istat aumenta il divario tra le classi sociali
La foto annuale dell’Istat sulla situazione reale della Penisola non è di quelle che inducono all’ottimismo per il presente e neppure per il futuro. La conferma giunge anche dalla Commissione europea secondo la quale il Paese è in crescita ma lenta, troppo lenta rispetto ai locomotori continentali.
Da Bruxelles sostengono che è necessario ridurre il cuneo fiscale sul lavoro e spostarlo sui patrimoni, si dimenticano, però, di evidenziare le lacune di una pubblica amministrazione parecchio simile ad un colabrodo. L’Ue ribatte che bisogna combattere l’evasione fiscale, è un ritornello che si ascolta da diversi decenni.
Non vi è governo che non abbia incluso nel suo programma l’evasione fiscale, un argomento talmente incancrenito da apparire persino noioso. Avrebbero potuto convincere gli ingenui nell’immediato dopoguerra allorquando i conteggi si effettuavano con il pallottoliere ma oggi che tutto avviene tramite pc è sufficiente premere un tasto per controllare e verificare tutti i movimenti economici e finanziari.
Si tratta semplicemente di voler pigiare il tasto. Il problema è tutto qui. La volontà di pigiare il tasto.
Basta notare quello che sta accadendo con gli scandali delle banche, con il Monte dei Paschi di Siena e con la Banca Etruria.
L’Istat ci fa notare che in Italia vi sono circa 3.590.000 famiglie senza redditi di lavoro, cioè famiglie al cui interno non vi è nessuno che lavora o che è pensionato da lavoro. La percentuale è preoccupante: il 13,9 percento, con il Sud che raggiunge il 22,2 percento. Sono famiglie che vanno avanti con aiuti sociali o lavoretti sporadici. Nel 2008 la situazione era migliore, le famiglie erano 3.172.000 ovvero ve ne erano 418.000 in meno e la percentuale era del 13,2 percento del totale.
Altro dato preoccupante è quello della gioventù. Il primo gennaio 2017 in Italia il 22 percento della popolazione aveva più di 65 anni, un dato che ci pone al vertice dell’Unione Europea e tra i primi dell’intero pianeta. Siamo stati bravi a superare persino la Germania che per anni è stata al primo posto in Europa in questa particolare classifica. Gli ultraottantenni sono ben 4.100.000 mentre gli over 65 sono 13.500.000.
Altro capitolo interessante è quello dei consumi. Le famiglie abbienti mensilmente spendono più del doppio rispetto a quelle a basso reddito, 3.810 euro contro 1.697 dei deboli.
Si tratta di statistica, difficile da comprendere. Se una famiglia povera riempie il carrello mensile della spesa per 1.697 è più che evidente che percepisce uno stipendio superiore o incassa una cifra più alta. A meno che queste famiglie non si rivolgono a supermercati nei quali si attua il pagamento a lunga rateizzazione.
Altro dato interessante è quello sulle casalinghe. La donna tra lavoro retribuito e quello domestico supera le 59 ore settimanali a differenza degli uomini che si fermano a 51 ore.
La povertà assoluta. La povertà assoluta è calcolata sulla base di una soglia di spesa mensile minima per acquisire un paniere di beni e servizi che è considerato uno standard minimo di vita accettabile per evitare gravi forme di esclusione sociale. Nel 2015 la povertà assoluta ha riguardato 1.600.000 famiglie, pari al 6,1 percento delle famiglie residenti.
Dato che le famiglie al di sotto della soglia di povertà sono mediamente più numerose, l’incidenza di povertà sugli individui è pari al 7,6 percento della popolazione residente, ossia 4.600.000 persone. Le persone a rischio di povertà o esclusione sociale sono ben il 28,7 percento.
la Redazione
Commenti
Per l’Istat aumenta il divario tra le classi sociali — Nessun commento
HTML tags allowed in your comment: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>