Manchester 22 morti 59 feriti 12 dispersi
Tutta l’Europa è ripiombata nel terrore dopo l’ennesimo attacco terroristico che questa volta ha colpito Manchester ma soprattutto l’arena di un concerto affollata da adolescenti e bambini.
Una strage.
Che rimanda una volta di più alla diabolica pervasività della rete dello Stato islamico in Europa. Troppo presto per fare ipotesi sull‘identità dell’attentatore e sulla – inevitabile – rete di appoggi logistici e connivenze di cui ha potuto godere.
La casistica ci insegna ormai come si possa trattare di un potenziale doppio profilo: un radicalizzato violento, un lupo solitario indottrinato di solito sul web; oppure un foreign fighter di rientro.
Ovvero un cittadino britannico che negli scorsi anni ha combattuto al fronte in Siria o in Iraq e che poi è rientrato in patria.
Ce ne sono moltissimi, secondo le fonti di intelligence. Parliamo di oltre 3.000 nostri concittadini europei che volontariamente hanno imbracciato il fucile per una guerra non loro, spinti da una molla dottrinaria e dalla capacità di attrazione della militanza jihadista. Soltanto dal Regno Unito ne sarebbero partiti circa la metà. 1.500, negli ultimi cinque anni.
Questi numeri dicono molto anche sul futuro: l’Europa è il proscenio ideale per un movimento che cerca di farsi Stato e che ha bisogno di soldati.
Più clamoroso è l’attentato, più attrattiva sarà la propaganda di morte dello Stato islamico.
Quest’ultimo sta perdendo forza e terreno sul campo, dopo la controffensiva dell’esercito iracheno a Mosul e i colpi dell’aviazione russa a Raqqa, in Siria. Proprio per questo ha deciso di rilanciare la sua propaganda.
Il presidio rafforzato della Turchia sul fronte meridionale, al confine con la Siria, è un altro elemento di preoccupazione per il Califfo e i suoi seguaci.
Non c’è dubbio dunque che per indebolire lo Stato islamico è necessario rendere più stringente l’azione militare sul campo.
Ma per sconfiggerlo definitivamente sarà necessario far sparire del tutto la sua capacità attrattiva. Quella che seduce i nostri giovani, li porta via dalle periferie degradate delle grandi città con la sirena di una vita migliore, fatta di devozione e di riscatto.
È lo storytelling dell’ISIS insomma che bisogna distruggere.
Non solo e non tanto come azione di contro-propaganda ma levando una volta per tutte qualsiasi argomento a chi dipinge l’Occidente e l’Europa come un viale del tramonto e celebra l’alba di un Califfato violento.
Che per fortuna – ne siamo certi – non arriverà mai.
Gianluca Ansalone
Gianluca Ansalone è docente di geopolitica presso la SIOI e l’Università di Roma – Tor Vergata. E’ membro del Comitato scientifico dell’Associazione Roma3000.
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