Giovanni Falcone un simbolo e tanti interrogativi
Quel sabato 23 maggio 1992 alle 17,58 sono al giornale con radio e tv accesa come da consuetudine di redazione. La notizia l’ascolto prima alla radio e poco dopo in tv. Notizie frammentate e poco chiare. Col trascorrere dei minuti il quadro diventa più chiaro e dettagliato.
Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, gli uomini della scorta Vito Schifani, Antonino Montinaro e Rocco Di Cillo sull’A29 che dall’aeroporto di Punta Raisi porta diritto a Palermo, dopo lo svincolo di Capaci, vengono barbaramente trucidati da 500 kg di tritolo tramite un telecomando azionato da Giovanni Brusca, u scannacristiani.
È in atto una guerra tra la mafia e un modello criminoso raffinato da una parte contro lo Stato e quanti lo rispettano a testa alta e sguardo onesto.
Giovanni Falcone ha capito che per arginare lo strapotere della mafia deve colpirla dal lato economico. La mafia degli anni Ottanta e Novanta introita milioni e miliardi di lire al mese ed è perciò in grado di potersi comprare beni mobili ed immobili, può comprarsi politici e partiti, condizionare e gestire le numerose consultazioni elettorali centrali e periferiche. Ha oramai acquisito talmente potere e sicurezza, compresa l’arroganza, che azzera quegli ostacoli e quelle idee che tentano di ostacolare la galoppata trionfale.
Giovanni Falcone, come pure Paolo Borsellino, di tutto ciò se ne è accorto e oltretutto nei suoi viaggi oltre l’Atlantico gli è stato spiegato che il bulldozer schiaccia tutto sino a che vi è carburante nel serbatoio, dal momento in cui gli togli benzina si blocca da solo.
È la consueta scoperta dell’uovo di Colombo.
Se a un mafioso o a un camorrista o a un ndranghetista gli porti via casa, villa, bar, ristorante, azienda, oltre a tutto il contante, il suo potere si frantuma e si azzera. Conta meno di una cicca.
Falcone consegue diverse vittorie giudiziarie ed i mafiosi provano ad eliminarlo. Il 21 giugno 1989 ripongono in un borsone di tanfosa similpelle 52 candelotti di dinamite tra gli scogli della villa che ha preso in affitto. Probabilmente gli autori posseggono scarsa dimestichezza col tritolo e così la clamorosa operazione sfuma.
Un passo indietro. A gennaio 1988 Antonino Caponnetto, procuratore della Repubblica a Palermo, va in pensione e una parte degli italiani ritiene che al suo posto il Csm debba nominare Falcone. Invece a Roma decidono diversamente e al posto di Caponnetto, nel corso di una seduta notturna, designano Antonino Meli per meriti di anzianità. In seguito Caponnetto, che ha creato il vincente pool antimafia, dichiara: “Meli ha contribuito ad anticipare la chiusura dell’Ufficio istruzione, non coordinando più le indagini, esautorando Falcone, emarginandolo, smembrando i processi di mafia e vanificando tutto il lavoro fatto”. Comincia l’isolamento.
Sindaco di Palermo è Leoluca Orlando il quale non perde occasione per scagliare fango ed accessori verso Falcone. Nel corso della trasmissione tv di Rai3 Samarcanda sostiene che Falcone si conserva nei cassetti, ermeticamente chiusi, una serie di documenti riguardanti alcuni delitti eccellenti di mafia.
Nel contempo dal Palazzo di Giustizia palermitano iniziano ad uscire lettere e fotocopie infamatorie aventi come obiettivo quello di intorpidire l’immagine ed il lavoro di quanti sono in prima fila alla lotta alla mafia. Naturalmente Falcone è uno di costoro. Siamo alla stagione del corvo.
Per il suo operato e per gli ottimi risultati spesso il giudice palermitano è invitato a trasmissioni radiofoniche e televisive. Anche questo gli procura nemici ed invidia.
Oramai a Palermo gli hanno reso la vita invivibile e valuta la proposta di dirigere la sezione Affari penali del ministero di Giustizia. Pure in questo caso deve subire violenti attacchi da parte del Partito Comunista, di alcuni dc, guidati da Leoluca Orlando, e da diversi giudici aderenti a Magistratura Democratica.
A febbraio 1991 accetta l’incarico a Roma. Il 9 agosto il procuratore Antonino Scopelliti viene ucciso in Calabria dalla ndrangheta, Falcone partecipa ai funerali e confida al fratello del procuratore: “Se hanno deciso così non si fermeranno più, il prossimo sarà io”.
Falcone nel frattempo scrive un libro che fa scalpore “Cose di cosa nostra”.
Il 9 gennaio 1992 Repubblica pubblica un articolo titolato “Falcone che peccato …” firmato da Sandro Viola, noto e apprezzato editorialista.
Tra l’altro Viola scrive “Egli è stato preso, infatti, da una febbre di presenzialismo. Sembra dominato da quell’impulso irrefrenabile a parlare, che oggi rappresenta il più indecente dei vizi nazionali. Quella smania di pronunciarsi, di sciorinare sentenze sulle pagine dei giornali o negli studi televisivi, che divora tanti personaggi della vita italiana, a cominciare, sfortunatamente per la Repubblica, dal Presidente della Repubblica. … Quel che temo, tuttavia, è che a questo punto il giudice Falcone non potrebbe più placarsi con un paio di interviste l’anno. La logica e le trappole dell’informazione di massa, le sirene della notorietà televisiva tendono a trasformare in ansiosi esibizionisti anche uomini che erano, all’origine, del tutto equilibrati. … Scorrendo il libro-intervista di Falcone Cose di cosa nostra s’avverte, anche con il concorso di una intervistatrice adorante, proprio questo: l’eruzione di una vanità, d’una spinta a descriversi, a celebrarsi, come se ne colgono nelle interviste del ministro De Michelis o dei guitti televisivi”. Siamo agli sgoccioli.
Quel funesto sabato 23 maggio 1992 nella programmazione serale della Rai è prevista la messa in onda della finale della seconda edizione del programma di varietà e spettacolo “Scommettiamo che … ?”. la conduzione è affidata a Fabrizio Frizzi e Milly Carlucci, il direttore generale è Gianni Pasquatelli, il presidente si chiama Walter Pedullà.
La trasmissione dal Teatro delle Vittorie in Roma avviene ugualmente, come se nulla fosse accaduto il pomeriggio.
In Rai con ritardo si accorgono di ciò che è successo in Sicilia e alle 22,00 durante l’intervallo dello spettacolo mandano in onda l’edizione straordinaria, dopo ben quattro ore, del Tg1 condotta da Angela Buttiglione. Il direttore Pasquatelli batte i pugni sul tavolo e fa riprendere il varietà come se Falcone, la Morvillo, Schifani, Montinaro e Di Cillo appartenessero ad un altro pianeta.
Ai funerali i politici vengono accolti da fischi, invettive e monetine.
Nel corso dell’omelia il cardinale Salvatore Pappalardo volgendo lo sguardo verso le autorità rammenta: “È certamente motivo di particolate sgomento l’aver appreso che il giudice Falcone si muoveva in via e con mezzi che dovevano rimanere coperti dal più sicuro riserbo. Chi li conosceva? Chi li ha rivelati ai nemici dei giudici? Mandante ed esecutori”.
Nella ricorrenza venticinquennale a ricordarlo tantissima gente semplice ed onesta, nella confusione si sono introdotti qualche giuda e tante lacrime di coccodrillo.
Anselmo Faidit
Commenti
Giovanni Falcone un simbolo e tanti interrogativi — Nessun commento
HTML tags allowed in your comment: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>