Juve da record: giù il cappello
Nessuna sorpresa alla penultima.
La Juventus, una grande Juventus, supera il Crotone e si cuce sul petto il sesto tricolore consecutivo.
Nella storia del campionato italiano, più che centenario, non era mai accaduto.
Le impronte del pokerissimo – ma mai della sestina – erano state lasciate in due occasioni: dalla Juventus, antenata di questa, degli anni Trenta e dal Grande Torino nella decade successiva. Stop. Toccare quota sei ha, in verità, davvero del leggendario, come giustamente in molti hanno osservato.
In testa al plotone dalla prima all’ultima giornata, la squadra di Max Allegri ha dato lezione di calcio a tutti e su tutti i fronti. Non solo per essersi dimostrata tecnicamente superiore alla concorrenza (che in Roma e Napoli si è, alla fine,
rivelata molto agguerrita), ma anche sul registro della pazienza, dell’inventiva, dell’intraprendenza e soprattutto dell’umiltà.
Sì, l’umiltà. Questo atteggiamento è stato senza dubbio una delle chiavi vincenti. I bianconeri non avevano ancora chiuso vincenti un match che già, senza alcuna forma di esaltazione, erano proiettati mentalmente al successivo.
E dire che motivi per tirarsela un pochino li avrebbero avuto (meglio, li avrebbero). Ma mai una parola di troppo, mai un modo spocchioso di porsi, insomma una vittoria anche nello stile.
Che l’apoteosi giungesse poi nello Stadium, una sorta di arena, dove i bianconeri “matano” tutti senza pietà, è stato anche giusto. Da quando è sorto, questo impianto ha dato un’ulteriore nuova impronta alla squadra. La vicinanza col pubblico (così stretta), l’avvertire la passione dei tifosi così vicina,
il sentire quasi il fruscio degli striscioni che ondeggiano tappezzando di bianconero ogni angolo dello stadio, ha dato (e dà) ai giocatori juventini un senso di appartenenza fortissimo. Sentire il palpitare della tifoseria all’unisono con il battere dei loro cuori impegnati nella fatica è certamente una sensazione importante che galvanizza, che dà carica.
Una vittoria dopo l’altra, il percorso della Juventus quest’anno è stato regolare, viene da dire ferreo, implacabile. Pochissime le soste, i tentennamenti, le indecisioni. Giusto solo nell’ultimo mese, ma quando già tutto era acquisito, c’è stata qualche defezione d’attenzione, ma quale sicurezza prima nell’affrontare quale che fosse l’avversario.
Questi, gli avversari, hanno fatto quel che potevano, del loro meglio, ma non è bastato. Il loro grande demerito è stato di non aver saputo mantenere la rotta così precisa e decisa come i bianconeri.
Nella prima parte del torneo sono state troppe per loro le manchevolezze, specie della Roma, per potere poi ambire a un recupero che servisse per vincere. Il Napoli, da parte sua, non ci ha forse creduto fino in fondo, non ha immaginato di essere quello che in realtà era ed è: una bella squadra, una compagine compatta e gagliarda, ricca di genialità e inventiva, capace di far brillare in campo un gioco intenso e divertente, efficace.
Dietro queste due inseguitrici, il gruppo delle altre, con la “tragedia” inscenata dalle milanesi le vere grandi sconfitte di questo torneo. Se il Milan, alla fine, ha salvato, come si dice, la faccia, l’Inter l’ha persa, anzi non ce l’ha mai messa, salvo nel breve interregno in cui Stefano Pioli era riuscito a risollevarla da un limbo che raramente la società nerazzurra ha frequentato.
La stupefacente novità del torneo è comunque una e una sola: la signora Atalanta che da fanciulla docile e serena (come la dea che ne ha ispirato il logo) si è fatta matrona seria e impeccabile, capace di sciorinare sul campo un calcio così vispo, così sgusciante da lasciare tutti interdetti. Certo, quando azzecchi l’annata buona tutto fila sempre al meglio, ma non si può certo nel suo caso invocare soltanto la buona sorte (che l’ha aiutata in qualche occasione).
Il trainer Gasperini è riuscito a plasmare un organico incredibile, attingendo da un vivaio che continua a essere (da antica memoria) una fucina instancabile di campioni. La sfida che la proietta in Europa è cosa bella e interessante, una ventata di aria nuova e fresca per il nostro calcio.
Idem dicasi per la Lazio e per le belle partite che ha saputo regalare ai suoi tifosi e a tutti.
La parola fine per questo torneo però non la si può ancora scrivere del tutto.
Crotone ed Empoli si giocano la A proprio nell’ultima giornata, così come si attendono le ultime cartucce che i bomber, i cannonieri, debbono o possono ancora sparare.
Mentre a Torino rinasce il campo Filadelfia e il campionato batte gli ultimi palpiti, l’attesa per la finale di Champions sale e Cardiff, almeno a Torino, è diventata all’improvviso una delle città più nominate e visitate sui siti di questi ultimi giorni.
Franco Ossola
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