Dalla batosta di Cardiff alla prospettiva di Kiev
Forse sono partiti per la destinazione Cardiff con qualche grammo di euforia in più dovuta alla facile vittoria in campionato e al sesto scudetto consecutivo con il quale sono entrati nella leggenda del calcio italiano. Forse anche la vittoria in Coppa Italia, che ha significato a un passo dal triplete.
Forse altri particolari ancora, purtroppo hanno dimenticato, o trascurato, il particolare che in Europa le italiane non vincono un trofeo dal 2009-2010 e che nelle recenti stagioni, fatta eccezione dei bianconeri, tutto il resto riesce a malapena a superare i turni eliminatori.
Tradotto in vernacolo calcistico: contiamo poco più del due di coppe a briscola. Siamo parecchio distanti dal trio Spagna-Germania-Inghilterra. Bisogna prenderne atto e si intende raggiungere un traguardo è necessario cospargersi il capo di umiltà e tapparsi la bocca.
L’Europa è un’altra cosa. L’Europa sostiene che la Juve detiene il primato dei secondi posti, fa collezioni di finali ma se ne è aggiudicata ufficialmente solo due. Compresa quella silenziosa di Bruxelles.
Tutte le altre sono delusioni e amarezze. Il paragone continentale con i blancos non lo si può neppure proporre. Loro sembrano marziani gli juventini allievi lillipuziani.
Esisteva una sola strada per tornare dal Galles con la coppa dalle orecchie gigantesche: attaccare, sudare, soffrire. Senza tregua e senza respiro. Dal 1’ al 97’. Sino al triplice fischio: solo attaccare, sudare, soffrire a dosi massicce.
Se si va alla ricerca di altre soluzioni o scappatoie il Real ti rimanda a casa con le pive nel sacco e con una fitta nel cuore. Se si intende passare alla Storia si deve fare il pieno di sudore e di enormi sacrifici, senza limiti, si deve giocare la partita della vita senza risparmio di energie mentali e muscolari.
Mostrarsi intelligenti o furbi con quella gente che ha vinto e stravinto tutto è da superingenui.
Stazionare nella propria metà campo li avvantaggia, si deve di raddoppiare e se serve triplicare la marcatura ed una volta in possesso palla ripartire ad alta velocità quasi si avesse alle spalle un leone affamato.
Di sicuro Allegri avrà mostrato decine e decine di video su Ronaldo e sulle sue preziosità balistiche, se ne saranno accorti che il portoghese ha fiuto del gol come pochissimi altri al mondo, che non appena intravede uno spicchio di porta o solo l’ombra della porta o solo un legno non ci riflette due volte e bombarda.
È la sua peculiarità, è la sua forza. Lo ha sempre fatto e non può di certo dimenticarsene al Millenium Stadium. Il lusitano ha bisogno di un difensore incollato alle sue caviglie quando è senza palla perché prima che questa gli arrivi sui piedi deve essere pronto il raddoppio di marcatura.
Allegri avrebbe dovuto sfruttare il vantaggio dell’assenza di Gareth Bale per concentrare tutte le attenzioni della difesa sul lusitano. Lo hanno trattato come un attaccante qualsiasi e CR7 li ha puniti, non con un golletto bensì con una doppietta storica.
Quest’anno su 12 gare di Champions è andato a segno 11 volte, vorrà pur significare qualcosa.
Certo la forza del Real è a centrocampo ma nel calcio non si vince ai punti, serve gonfiare la rete.
Fatta eccezione della acrobatica marcatura di Mandzukic la Juve si è cullata nella congettura di farli sfogare per una diecina di minuti e poi impossessarsi delle redini del match.
Il Real si è sfogato per dieci minuti e si è portato sul 3-1 nella seconda frazione di gioco, a quel punto i torinesi che già avevano fatto poco nella prima parte, sono scomparsi del tutto a partire da Dybala e Higuain che sarebbero dovuti essere i trascinatori di Cardiff.
Probabilmente il duo argentino non è abituato a simili palcoscenici e responsabilità, non ne hanno retto il peso e sono crollati inesorabilmente. Si sono nascosti sino a quando sono rimasti sul rettangolo verde.
La rinomata ditta BBC non ha brillato, prendere quattro sberle in 90’ non fa onore neppure con un avversario galacticos, se si viene trafitti quattro volte le attenuanti si autoeliminano.
Bene ha fatto Allegri a ringraziare i suoi giocatori per la stagione appena conclusa però i milioni di tifosi non sono alla ricerca del settimo, ottavo, nono scudetto consecutivo. I tifosi vogliono quella coppa che manca dalla stagione 1995-1996 e vent’anni sono tanti seppure ci sia la magrissima consolazione di aver partecipato a cinque finali da quell’anno.
Spiace per Gigi Buffon che ha mancato l’unico trofeo che manca nella sua prestigiosa carriera, spiace perché alzando quella coppa probabilmente a Parigi lo avrebbero incoronato come miglior calciatore del 2017. Avrà una seconda ed ultima chance, qualora non centrasse il 2018 dovrà rassegnarsi definitivamente perché a gennaio prossimo le sue primavere diventano 40 e le porte della speranza si chiudono.
Con ancora l’eco della gioia madridista nei timpani Andrea Agnelli & soci devono comprendere quali sono i tasselli indispensabili per prenotare lo Stadio Olimpico di Kiev per il 26 maggio 2018. Max Allegri oramai di esperienza internazionale ne ha maturata, di sconfitte ne ha conosciute e da queste ne deve trarre insegnamento.
Per sedersi sul tetto d’Europa la Juve necessita di calciatori di altissimo valore e affidabilità che devono innalzare il livello di qualità nei confronti di Real, Barcellona, Bayern e forse qualcun’altra.
Il trio Agnelli – Marotta – Allegri da oggi al 26 maggio prossimo deve prefiggersi un unico obiettivo: approdare a Kiev impossessarsi della Coppa e rientrare a Torino. Tutto il resto non luccica.
la Redazione bg
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