Università, nepotismo e baronie dure da estirpare
Campania, Sicilia e Puglia, in queste regioni vige maggiormente il nepotismo universitario. Le facoltà in cui è più presente? Medicina e chimica. Sì, perché lo stato delle università e degli istituti di ricerca è scritto anche lì, nei cognomi di chi ci lavora. Che possono presentare un quadro della realtà abbastanza concreto, quanto, come e dove si spostano, se esistono disparità di genere. O, cosa ancora più interessante, far luce su quanto è diffuso il deprecabile nepotismo, il fenomeno per cui i baroni dell’accademia, nella quasi totalità professori ordinari, direttori di dipartimento e simili, favoriscono e agevolano l’assunzione di propri parenti al di là delle loro competenze e a scapito di altri concorrenti meritevoli ma che non posseggono nobiltà parentelare.
Due ricercatori italiani della University of Chicago, Stefano Allesina, docente del Department of Ecology & Evolution, e Jacopo Grilli, post-doc nello stesso dipartimento in un articolo scientifico pubblicato da poco sui Proceedings of the National Academy of Sciences hanno affrontato lo spinoso argomento.
Allesina e Grilli hanno analizzato un corpus di oltre 160mila cognomi di ricercatori di università ed istituti di ricerca italiani, francesi e statunitensi, cercando correlazioni che svelassero le dinamiche di mobilità, la presenza di gap di genere e l’eventuale esistenza di nepotismo.
L’analisi ha mostrato che il sistema accademico italiano sembra essere vittima del fenomeno, in particolare in alcune regioni del Sud, particolarmente in Campania, Sicilia e Puglia; fortunatamente la riforma Gelmini, entrata in vigore nel 2010 e che proibiva l’assunzione di parenti, ha avuto un effetto nel ridurre il nepotismo.
“Abbiamo iniziato”, raccontano gli scienziati intervistati da Wired, “costruendo un database con i cognomi di 160mila docenti e ricercatori di università e istituti di ricerca italiani, del Cnrs francese e di diverse università statunitensi, relativo agli anni 2000, 2005, 2010 e 2015. Nel primo caso, si trattava soprattutto di cognomi italiani; per gli istituti francesi e statunitensi, invece, i cognomi erano di diverse nazionalità”.
Per condurre l’analisi, i ricercatori hanno poi misurato quante fossero le coppie di cognomi uguali in ciascun dipartimento o facoltà rispetto al numero totale di coppie di cognomi. Si trattava di comprendere se e come eventuali anomalie nelle coppie di cognomi uguali fossero lo specchio di minore o maggiore mobilità dei ricercatori o della presenza di nepotismo nelle facoltà. Perché la sovrabbondanza di un cognome tra i dipendenti di un istituto potrebbe essere legata al fatto che è più diffuso di altri e non essere necessariamente legato a fenomeni di nepotismo.
“Per comprenderlo, abbiamo randomizzato in tre modi il campione. Abbiamo estratto casualmente dei cognomi da tutte le università italiane e li abbiamo assegnati ai singoli dipartimenti; poi abbiamo ripetuto la cosa estraendo i cognomi dei ricercatori che lavorano nella stessa città e da quelli di tutti gli scienziati che lavorano in un determinato campo”. I campioni sono stati confrontati con quelli reali: dall’analisi è emerso che, in Italia, i ricercatori tendono a fortemente a rimanere nelle proprie città d’origine, nel senso che la distribuzione dei cognomi nei dipartimenti ricalca fedelmente la distribuzione dei cognomi nelle città di appartenenza. Lo stesso discorso non vale per ricercatori di Francia e Stati Uniti, che invece sono risultati essere molto più mobili nei rispettivi territori nazionali.
“Per gli Stati Uniti è emerso che esistono dei cognomi di disciplina, nel senso che, per esempio, è molto probabile che persone con un cognome asiatico si occupino di materie tecniche o scientifiche”.
Per condurre l’analisi hanno misurato quante fossero le coppie di cognomi uguali in ciascun dipartimento o facoltà rispetto al numero totale di coppie di cognomi, comprendere se e come eventuali anomalie nelle coppie di cognomi uguali fossero lo specchio di minore o maggiore mobilità dei ricercatori o della presenza di nepotismo negli atenei. Perché la sovrabbondanza di un cognome tra i dipendenti di un istituto potrebbe essere legata al fatto che tale cognome è più diffuso di altri e non essere legato a fenomeni di nepotismo.
“Per comprenderlo, abbiamo randomizzato in tre modi il campione. Abbiamo estratto casualmente dei cognomi da tutte le università italiane e li abbiamo assegnati ai singoli dipartimenti; poi abbiamo ripetuto la cosa estraendo i cognomi dei ricercatori che lavorano nella stessa città e da quelli di tutti gli scienziati che lavorano in un determinato campo”.
I campioni sono stati poi confrontati con quelli reali: dall’analisi è emerso che in Italia i ricercatori tendono a rimanere nelle proprie città d’origine, nel senso che la distribuzione dei cognomi nei dipartimenti ricalca molto fedelmente la distribuzione dei cognomi nelle città di appartenenza. Il discorso, non vale per ricercatori di Francia e Stati Uniti, che sono risultati essere molto più mobili nei rispettivi territori nazionali.
“Per gli Stati Uniti è emerso che esistono dei cognomi di disciplina, nel senso che, per esempio, è molto probabile che persone con un cognome asiatico si occupino di materie tecniche o scientifiche”.
L’ipotesi è che chi fa assumere un proprio parente ricopra una carica di prof ordinario nell’istituto di ricerca dove lavora: effettivamente, l’analisi del database mostra sovrabbondanza di coppie di cognomi uguali costituite da un professore ordinario e da un ricercatore di rango inferiore. In più, hanno notato che i cognomi dei ricercatori assunti prima del 2010, anno di entrata in vigore riforma Gelmini, che proibiva espressamente l’assunzione di parenti fino al quarto grado, erano significativamente più simili a quelli dei ricercatori di ruolo rispetto a quello che si sarebbe atteso in una distribuzione casuale.
“Questa osservazione sembra confermare sebbene indirettamente, l’ipotesi che la distribuzione dei cognomi sia effettivamente correlata alla presenza di nepotismo”.
la Redazione
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