Ma chi sono i veri “padroni” delle banche italiane?
Mi chi sono i veri “padroni” delle banche italiane, soprattutto dopo la legge incompiuta sulla riforma delle Banche Popolari?
È una domanda, che può sembrare superflua, ma è di fondamentale importanza, in quanto conoscere chi possiede ampie fette di patrimonio delle banche, deve interessare l’intero Paese, le forze politiche e il Governo.
Si fanno accordi per le ristrutturazioni, per i salvataggi delle banche ma spesso non si conosce chi saranno i beneficiari di queste riduzioni dei costi: I lavoratori? I clienti? I piccoli azionisti? I grandi azionisti? Gli speculatori?
Sono solo 35 gli azionisti con partecipazioni dichiarate nelle imprese bancarie superiori al 3%, per un valore complessivo dell’investimento ai prezzi di mercato di 26,9 miliardi di euro. Se consideriamo che la capitalizzazione complessiva delle banche è di circa 120 miliardi non possiamo non notare che non si conosce chi sia il proprietario dei 92,9 miliardi di € del sistema bancario italiano.
Pochi settori sono così vigilati, o meglio sorvegliati, come quello bancario eppure non si conoscono i nomi di chi detiene le azioni, salvo quando ci si presenta in assemblea.
Nonostante oggi il sistema bancario nazionale ed europeo sia costantemente radiografato per la qualità e quantità degli asset, per le politiche retributive dei manager, per la tipologia delle politiche commerciali e per i limiti nella concessione degli affidamenti.
Sapere che non vi è un azionista di controllo dichiarato potrebbe portare i manager ad avere, quale referente, esclusivamente la borsa valori, che guarda solo ai dividendi e all’apprezzamento del titolo.
Diventa secondario il ruolo che la banca ha quale agente economico e sociale per il territorio o per la nazione. In Italia con la crisi e il salvataggio delle due banche venete, del Monte dei Paschi di Siena e con la risoluzione di altre quattro banche, sappiamo che una banca crea/distrugge più valore, per il territorio e l’economia, di quanto non ne riceva nel suo conto economico sotto forma di margine d’interesse e di commissioni, per questo non può essere trattata come un’azienda “normale” e sapere chi è il “padrone del vapore” non è indifferente per indirizzare la politica aziendale e scegliere i manager che la guideranno.
Circa un terzo dei 35 azionisti con partecipazioni maggiori al 3%, sono investitori stranieri e come in due delle maggiori banche popolari che si sono trasformate in Spa, abbandonando il voto capitario come previsto dalle legge, UBI Banca e Banco Bpm, i maggiori azionisti attuali sono fondi di investimento esteri.
In Italia il ruolo svolto dalle fondazioni bancarie e la presenza del voto capitario sono stati elementi che hanno reso nullo il dibattito sul ruolo dell’azionista di controllo. Oggi con le fondazioni che hanno riallocato il proprio patrimonio uscendo, o riducendo, la propria presenza nel mondo del credito, con la trasformazione giuridica delle banche popolari e delle banche di credito cooperativo, si aprono nuovi scenari per il sistema bancario italiano.
Cosa cambierà per l’Italia, ad esempio in UniCredit, dove i primi tre azionisti sono investitori americani, norvegesi e arabi?
Quale ruolo avranno i fondi d’investimento, azionisti di banche solo perché vendono i loro prodotti?
Come si comporterà un management scelto da investitori che escono 20 giorni dopo l’assemblea, perché hanno trovato altre occasioni d’investimento?
Sono domande nuove per le quali dovremmo dare delle risposte certe in futuro, perché il rischio concreto che corriamo è che nelle banche, con piccole percentuali di capitale, si possono attuare scelte che arricchiscono pochi e impoveriscono molti.
Anselmo Faidit
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