Se anche la scuola si trasforma in ghetto
Quelli che cercano l’integrazione e lo ius soli l’hanno trovato. Basta che vadano a Padova alla scuola elementare Rosmini e se ne rendono conto, quelli che predicano l’accoglienza a tutti i costi, quelli che pretendono che nelle mense scolastiche non si mangi carne di maiale e si rispetti il ramadan finalmente sono accontentati.
Una classe del Rosmini è dedicata solo agli immigrati, sui banchi vi sono solo ragazzini extracomunitari di ogni dove e di ogni lingua, tranne che italiano. 24 bambini tutti provenienti da lontanissimo.
In una classe dell’Istituto Tecnico Schiapparelli-Gramsci di Milano su 26 alunni vi sono solo tre studenti italiani.
Alle elementari di Via Paravia a Milano su un totale di 131 alunni ben 126 sono extracomunitari e appena cinque ragazzini connazionali (evidentemente impossibilitati a frequentare altre scuole).
Quelli che possono scappano tutti.
Ed è parecchio normale che questa ghettizzazione proseguirà ad oltranza poiché in quelle classi l’insegnamento procede a rilento, a passo di lumaca, principalmente per la lingua italiana visto che quasi nessuno di loro riesce ad esprimersi nell’idioma nazionale in quanto nelle loro case si continua a parlare e conversare nella lingua di origine. Non comprendendo la nostra lingua l’insegnante è costretta a ripetere a lungo con perdite di tempo infinito.
Di conseguenza il bambino straniero si sente ulteriormente isolato. Quei pochi bambini extracomunitari che vogliono integrarsi incontrano difficoltà perché non possono parlare in italiano con chi la nostra lingua non la conosce o la conosce male.
Addirittura alla Rosmini di Padova qualche professore ha proposto di insegnare in inglese inventandosi un “Italiano Due”, ciò servirebbe solo ad allontanarlo ulteriormente, oltretutto specificano che non sarebbero obbligati ad impararlo bene. Insomma un pastrocchio all’italiana.
Quanto gli extracomunitari disdegnano di integrarsi lo dimostra il fatto che continuano a frequentarsi solo tra di loro e ad esprimersi nella loro lingua, ove esiste una comunità consistente hanno aperto attività commerciale in cui si vendono prodotti del loro paese, vestono secondo le loro usanze e tradizioni.
In sostanza desiderano trapiantare un pezzo della loro terra nella penisola. Vi è chi li definisce ghetti.
Anselmo Faidit
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