Il pericolo mortale delle “Smart Drug”
È di pochi giorni fa la notizia delle prima vittima italiana della droga “Pink”, un oppioide sintetico conosciuto farmacologicamente come U47700. Una droga “non droga”, o meglio una “Smart Drug” che in italiano suona “droga intelligente o furba”. Si tratta in realtà di droghe sintetiche che non hanno niente di intelligente o di furbo, se non dal punto di vista di chi fa i soldi a palate commerciandole.
Mario, il torinese che è morto dopo aver assunto la Pink, l’aveva acquistata su Internet. Arrivata a casa portata dal postino in un pacco anonimo, sotto forma di una comune pasticca o capsula, Mario aveva cominciato a prenderla inalandola, sniffandola e anche per via rettale. È morto lentamente, giorno dopo giorno. Ha cominciato con l’addormentarsi in piedi o a sedere durante le attività quotidiane, a sperimentare attacchi di rabbia incontrollata; è stato ricoverato in ospedale in preda a crisi epilettiche, scambiate per “attacchi d’ansia”. Quando la famiglia si è rivolta al Sert per cercare aiuto, gli esami hanno dato esito negativo, “tecnicamente” non assumeva droghe. Molto “Smart” la sostanza, vero? Non è una droga, è legale, la persona non merita nessun aiuto: per Mario arriva la morte per overdose la settimana successiva.
Mario era un 42enne padre di famiglia, non un giovanotto in cerca di sballo durante i rave.
Ecco come il dizionario Garzanti definisce una smart drug: “sostanza con proprietà psicotrope, per lo più stimolanti, che legalmente non viene considerata una droga”. Ecco il punto chiave: è una droga in tutto e per tutto, ma non è illegale. Lo stato definisce illegali un determinato numero di droghe, classificate secondo la loro composizione e presenti in un certa lista. Se non è nella lista, non è illegale. Ecco che in tutto il mondo fioriscono e prosperano innumerevoli laboratori che si ingegnano a ideare nuove molecole, di solito varianti di molecole illegali, che possano essere vendute legalmente in quanto non ancora classificate illegali.
È molto probabile che la “Pink” U47700 finirà presto sulla lista delle droghe illegali, ma intanto c’è chi ci ha rimesso la pelle. Negli USA la sola U47700 ha già fatto decine di vittime; tenendo conto che ne esistono migliaia di tipi diversi, si tratta di una vera e propria strage continua e silenziosa che uccide ogni hanno sempre più persone.
Guardiamo in faccia la realtà: ci sono menti brillanti (esperti di chimica e biologia) che ogni mattina si svegliano, si recano nel loro moderno e attrezzatissimo laboratorio e impegnano tutta la loro competenza e creatività per creare nuove molecole, sufficientemente diverse da quelle esistenti per non rientrare nella lista delle sostanze illegali. Qual è il loro scopo? Fare soldi vendendole senza rischiare di essere arrestati, una sorta di “crimine bianco”. Sanno benissimo di rovinare la vita delle persone e di causare la morte di una parte di loro, ma questo non frena certo la cattiva coscienza di un criminale, per quanto abile e brillante nel suo campo.
Perché sono pericolose? In primo luogo qualsiasi sostanza psicotropa è pericolosa, dato che per sua natura è un veleno per il corpo e perché altera i meccanismi della mente. E se una persona non è più se stessa, questo è di per sé un pericolo strisciante per la società.
Ma nel caso delle smart drug c’è un grosso, anzi enorme, pericolo aggiuntivo: sono nuove, non sono testate e non se ne conoscono gli effetti, né a breve né a lungo termine. Almeno, delle droghe “classiche”, c’è una vastissima letteratura che ne descrive gli effetti e chi le prende di solito ha almeno una vaga idea sulla loro pericolosità. Una smart drug invece è un salto nel buio, una vera e propria roulette russa.
Chi assume le smart drug, sta di fatto partecipando ad un esperimento di massa collettivo, osservato su base statistica e su scala mondiale a suon di morti e di ricoverati con danni cerebrali. Fareste da cavia per provare un nuovo farmaco che potrebbe curare una malattia che non avete e causarne di nuove?
Come nel caso del “doping sportivo”, la promessa è quella di migliorare le prestazioni, in questo caso le capacità cognitive della mente. È noto che gli sportivi che si dopano ne soffrono presto o tardi le conseguenza, si tratta uniformemente di sostanze che minano il fisico umano e che causano la decadenza fisica, la malattia e a volte persino la morte dell’atleta. Se prendere un anfetamina per vincere una gara ciclistica è scorretto e mette a rischio la salute, perché dovremmo mai permettere o persino concepire l’idea che si possano studiare o creare sostanze che dopino il cervello?
La realtà dei fatti è che non esiste nessuna prova clinica dell’efficacia di tale sostanze per quanto riguarda reali miglioramenti delle capacità cognitive, se non per limitatissimi periodi di tempo (come la lucidità che può sperimentare a tratti quando si è ubriachi). Se un pilota di formula 1 potesse potenziare il suo bolide per qualche secondo di gara, rischiando di compromettere o bruciare il motore, lo farebbe forse?
Per contro, è ormai accertato che gli effetti collaterali sono imprevedibili e spesso responsabili di danni gravi e permanenti, come ad esempio diminuzione della “plasticità cerebrale”,
Il primo criminale nel campo delle smart drug è stato senz’altro chi le ha chiamate così, dando l’idea che chi le assume sia furbo o possa diventare più intelligente. Provate a scrivere “smart drugs” su Google, ecco i titoli agghiaccianti dei primi risultati: “13 smart drug per sbloccare il tuo vero cervello”, “Alimenta il tuo cervello con le ultime novità dalla Neuroscienze”, “Ho provato la smart drug che mi ha fatto amare il mio lavoro”, “Migliora la memoria con le smart drug”, “Le sostanze legali per diventare più intelligenti”, “Quale smart drug è più efficace?”, “Mago degli scacchi con una pillola?”.
Tutto vero, tutte pagine web dalla grafica professionale, titoli degni del miglior marketing, supportate da “studi scientifici”. Insomma, tutto molto “smart”, tranne che per i morti e i cerebrolesi.
Giovanni Trambusti