Sergio Brio un fuoriclasse nella vita di ieri e di oggi
Pagine da scrivere e da raccontare non possono mancare ad un personaggio della dimensione di Sergio Brio per cui bene ha fatto Luigia Casertano a “costringerlo” a raccontare alcuni episodi della lunga carriera calcistica vissuta prevalentemente sotto la Mole Antonelliana con la casacca a strisce verticali bianche e nere.
Essendo abituato sin dall’adolescenza a viaggiare e salire su pullman e aerei gli è sembrato normale girare la Penisola per presentare il suo lavoro editoriale “Sergio Brio L’ultimo stopper”. Naturalmente non poteva mancare l’appuntamento nella casa dei giocatori dell’elite calcistica italiana, quella Coverciano che ha conosciuto la prima volta nel 1974 convocato nella Nazionale juniores.
La presentazione del suo prezioso volume è avvenuta nell’Aula Magna ove si incontrano atleti, allenatori, direttori di gara e addetti ai lavori periodicamente per discutere e progettare. Ottima la scelta di Maurizio Francini, il direttore del Centro Tecnico Federale della Figc,
ad ospitarlo e consentirgli di spiegare le motivazioni che l’hanno indotto a mettere nero su bianco il film della sua vita.
La prima motivazione è che l’incasso della vendita del libro sarà devoluto interamente alla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro, gesto nobile e di altissimo valore morale.
La seconda è quella degli insegnamenti che un atleta di levatura mondiale può trasmettere alle generazioni di oggi e di domani per tutto quello che ha appreso sin dall’infanzia sui campi di gioco e negli spogliatoi di mezzo pianeta.
La terza è la sua testimonianza su uno sport che dalla fine del secolo scorso ai nostri giorni ha subito una metamorfosi irreversibile che non promette orizzonti luminosi. Una narrazione che potrebbe apportare qualche contributo ad arginare una disaffezione allo sport nazionale.
Brio indossa la sua prima maglia a nove anni e le strisce verticali sono giallo e rosse, quelle del Lecce, ma quelle della pelle sono bianche e nere e lo accompagneranno ovunque si trasferirà.
Per farsi un’idea di chi sia Sergio Brio, classe 1956, è sufficiente leggere alcune righe “… a noi ragazzi del settore giovanile il Lecce passava il materiale sportivo della prima squadra. La maggior parte delle volte ci venivano dati dei borsoni vecchi, pieni di muffa, puzzolenti che venivano dalle squadre che non li usavano più. Io ripulivo il mio, lo lavavo, lo facevo ridiventare come nuovo. Era un modo per apprezzare di più le cose … il sacrificio era il nostro pane quotidiano”. Poco è mutato in Sergio da quel periodo.
Chi lo ha conosciuto, da vicino o velocemente, rimane quasi affascinato dalle sue peculiarità morali e dai valori che lo contraddistinguono, appartiene ad una categoria del genere umano che si assottiglia ogni giorno di più.
Allegra Caracciolo di Castagneto coniugata col dottor Umberto Agnelli e madre di Andrea, nelle cui vene scorre sangue zebrato, nella Prefazione annota: “Una grande passione mi accomuna a Sergio Brio: la Juventus. Indimenticato ed indimenticabile gladiatore juventino,
lo stopper della mitica Juve anni ‘80, quella di Michel Platini e Gaetano Scirea, di Paolo Rossi e Antonio Cabrini, è un giocatore da sempre amato per la sua dedizione al lavoro, per il suo attaccamento alla maglia e per i suoi valori sportivi che lo contraddistinguono”.
Un personaggio che il calcio lo conosce meglio delle sue tasche è Giampiero Boniperti, superdecorato giocatore e presidente della Juve per decenni, così lo descrive: “Generoso, coraggioso, caparbio, duro in campo nei limiti della correttezza, a me piacevano quei giocatori che non tiravano indietro il piede, così deve essere un difensore che si faccia rispettare. E lui lo era”.
Il presidentissimo a seguito di un grave infortunio al ginocchio che lo tenne lontano dai campi per oltre un anno, quando il leccese riprese gli allenamenti raddoppiò gli sforzi per tornare in prima squadra, Boniperti per premiarlo gli raddoppiò il contratto.
Sergio non lo ha mai dimenticato ed in occasione del compleanno del presidente e delle feste natalizie e pasquali, alza la cornetta per fargli gli auguri. Non ha mai saltato un anno.
160 pagine di aneddoti noti e meno noti, ricordi e immagini di una carriera durante la quale non si è fatto mancare un trofeo nazionale e internazionale. Righe da leggere con attenzione e memorizzare, che servono a comprendere come è possibile tagliare i traguardi facendo ricorso alla forza di volontà pur in assenza di tecnica cristallina.
Quelle volte in cui mi capitò di intervistarlo da calciatore giammai notai in lui arroganza o alterigia, ma tanta umiltà e determinazione, doti che consentono di salire gli scalini sia che si decida di divenire calciatori che imprenditori o affermati professionisti.
Un fuoriclasse che non ha mai perso i contatti con la realtà quotidiana, che ha recitato il ruolo del primo attore in una società di stelle di prima grandezza, che si è sempre rimboccato le maniche e non ha mai sottovalutato alcun avversario. Che ha profuso lo stesso impegno sia che il centravanti si chiamasse Marco Van Basten sia che fosse un ragazzo della Primavera.
Un fuoriclasse bianconero che è riuscito a strappare applausi persino nella capitale gigliata.
Bruno Galante
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