Riduzione tasse solo per medie e grandi aziende
Alla fine sono state premiate fiscalmente ancora una volta le medie e le grandi imprese, mentre alle piccolissime attività non resta che attendere ancora un anno per la riduzione del carico fiscale. In termini economici, fa sapere l’Ufficio studi della CGIA, il conto è presto fatto. Se il taglio dell’Ires (Imposta sui redditi delle società di capitali) consente alle società di risparmiare 3,9 miliardi di euro di tasse all’anno, alle piccole e micro imprese, invece, lo slittamento dell’introduzione dell’Iri (Imposta sui redditi) non consentirà di risparmiare almeno 1,2 miliardi di euro di tasse all’anno.
Come ma si è giunti a questo epilogo? Nel 2016 il Governo Renzi aveva deciso di tagliare le imposte sui redditi a tutte le imprese; a distanza di un anno, purtroppo, l’operazione è andata in porto solo in piccola parte. Le attività interessate dalla contrazione dell’Ires, infatti, sono state poco meno di 630.000, che costituiscono solo il 13 per cento circa del totale delle aziende presenti nel Paese.
Pur riconoscendo che, rispetto a qualche decennio fa, tra le società di capitali troviamo anche le piccole imprese è indubbio che il taglio dell’Ires ha avvantaggiato principalmente le grandi, in particolar modo quelle appartenenti al settore energetico e a quello minerario. E sebbene la riduzione dell’Ires sia stata in parte bilanciata dall’attenuazione degli effetti positivi dell’Ace, ancora una volta si è prestata attenzione solo alle istanze sollevate dalle imprese di maggiore dimensione, mentre alla stragrande maggioranza delle attività che non pagano l’Ires non è stato riservato alcun vantaggio fiscale.
Se da quest’anno, infatti, l’Ires è scesa di 3,5 punti attestandosi al 24 per cento, per le piccole e micro imprese (persone fisiche, società di persone, società in nome collettivo, etc.), l’introduzione dell’Iri, prevista nel 2017 con un’aliquota del 24 per cento, slitta, secondo la legge di Stabilità in discussione in Senato in questi giorni, al 2018.
La causa di questo rinvio? La mancanza di copertura finanziaria.
In altre parole il Governo non ha trovato 1,2 miliardi di euro per alleggerire il carico fiscale alle micro imprese.
Va comunque segnalato che a fronte della contrazione dell’Ires, alle società di capitali è stata ridimensionata l’Ace (Aiuto alla crescita economica); una misura, quest’ultima, nata qualche anno fa per premiare le imprese che si capitalizzavano. L’impatto economico negativo di questo intervento è di 1,7 miliardi di euro. Pertanto, agli effetti positivi del taglio dell’Ires (3,9 miliardi) va sottratto il ridimensionamento dell’Ace che, comunque, consente alle società di capitali di “guadagnare” 2,2 miliardi di euro all’anno.
Oltre a ridurre il peso delle tasse è necessario, in particolar modo per le micro imprese, diminuire anche il numero di adempimenti fiscali che, invece, continua ad aumentare e costituisce un grosso problema per moltissime attività. Non dobbiamo dimenticare che i più penalizzati da questa situazione, così come avviene per le tasse, sono le piccole e piccolissime imprese che, a differenza delle realtà più grandi, non dispongono di una struttura amministrativa in grado di farsi carico autonomamente di tutte queste incombenze.
Le aziende che da quest’anno potranno contare sulla più elevata riduzione dell’Ires sono quelle riconducibili alla fornitura di energia elettrica, gas, etc., con un risparmio medio di imposta per impresa pari a poco più di 39.300 euro e le attività di estrazione di minerali da cave e miniere che beneficeranno di 34.000 euro circa di risparmio fiscale. Settori che in entrambi i casi sono caratterizzati quasi esclusivamente dalla presenza di grandi imprese.
L’unica novità fiscale positiva per le piccolissime imprese, così come previsto dalla manovra correttiva approvata nella primavera scorsa, sarà l’addio agli studi di settore che verranno sostituiti dagli indicatori di affidabilità economica.
Prima della fine di quest’anno, infatti, il debutto delle nuove “pagelle” fiscali relative all’anno di imposta 2017 interesserà una settantina di categorie su un totale di 193 che attualmente sono sottoposte agli studi.
Per molti lavoratori sarà la fine di un incubo anche se sarà necessario monitorare il periodo di transizione di questi nuovi strumenti. I nuovi indicatori di affidabilità fiscale che sostituiranno gli studi di settore, infatti, dovranno garantire una riduzione delle tasse e una maggiore semplificazione nei rapporti con il fisco. Altrimenti, questa novità servirà a poco. Per questo è determinante che nella fase di gestazione di questi indicatori sia determinate il ruolo delle associazioni di categoria dei lavoratori autonomi, che meglio di chiunque altro conoscono le specificità e le caratteristiche fiscali delle attività interessate da questa novità.
la Redazione
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