Ancora un aumento record di anidride carbonica
Le concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica, uno dei gas serra responsabile del cambiamento climatico, sono aumentate fino a raggiungere un nuovo record nel 2016. A dare l’allarme è stata l’Organizzazione Mondiale Meteorologica, Wmo, secondo cui l’incremento dello scorso anno è stato del 50% in più rispetto alla media degli ultimi 10 anni. Più precisamente, come spiegano i ricercatori nel rapporto sullo stato dei gas serra presentato a Ginevra, nel 2016 le concentrazioni medie di CO2 hanno raggiunto le 403,3 parti per milione, e quindi in aumento rispetto alle 400ppm del 2015 (il limite di sicurezza è stato fissato a 350 ppm). I ricercatori, come si legge nel rapporto, sostengono che gli obiettivi dell’accordo di Parigi sul clima (tra cui quello di evitare che il surriscaldamento globale superi i 2 gradi centigradi alla fine di questo secolo) siano in gran parte irraggiungibili.
Le cause sono dovute alla combinazione di attività umane e del fenomeno meteorologico El Niño hanno portato l’anidride carbonica a un livello comparabile a quello di 3/5 milioni di anni fa, ovvero nel Medio Pliocene, quando la temperatura era tra i 2 e i 3 gradi superiore a quella di oggi e i livelli del mare da 10 a 20 volte al di sopra di quelli attuali. El Niño influenza la quantità di carbonio nell’atmosfera, causando siccità e limitando l’assorbimento di anidride carbonica da parte delle piante. E anche se le emissioni di CO2 da fonti umane, come pratiche agricole intensive, la deforestazione e lo sfruttamento dei combustibili fossili come fonte di energia, siano diminuite negli ultimi due anni, “questo gas serra persiste nell’atmosfera per secoli”, illustra alla Bbc News Oksana Tarasova, responsabile dell’ambiente del Wmo, sottolineando come questi risultati siano motivo di grande preoccupazione, in quanto ora è molto difficile fare dietrofront.
Un altro dato allarmante emerso dal rapporto è il continuo e misterioso aumento dei livelli di metano nell’atmosfera, già superiori alla media negli ultimi dieci anni. “Il rapido aumento del metano dal 2007, e in particolare nel 2014, 2015 e 2016, non è stato previsto nell’accordo di Parigi”, spiega alla Bbc News Euan Nisbet della Royal Holloway University di Londra. “Non capiamo perché il livello del metano aumenta, potrebbe essere un feedback sul cambiamento climatico, ma è molto preoccupante”.
Sempre secondo il rapporto, la temperatura nei prossimi anni continuerà ad aumentare e i fenomeni climatici saranno sempre più estremi. “I numeri non mentono”, spiega Erik Solheim, dell’agenzia Onu per l’ambiente. “Le emissioni sono ancora troppe e dobbiamo fare un’inversione di rotta. Abbiamo a disposizione molte soluzioni per affrontare questa sfida. Ciò di cui abbiamo bisogno ora è la volontà politica globale e un nuovo senso di emergenza”.
Altrimenti le generazioni future erediteranno un pianeta molto meno ospitale e saranno ancora più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico. Lo riferisce uno studio delle Università di Princeton, del Vermont e del Texas, e sulle pagine di Pnas spiega che se da una parte le misure per ridurre le emissioni di gas serra potrebbero constare miliardi di dollari nei prossimi decenni, dall’altra bisognerà pensare a come proteggere le generazioni future dal cambiamento climatico.
Dall’analisi è emerso che i costi necessari per mitigare i danni climatici saranno dell’85% più alti nel 2025 e 120% più alti nel 2050, aumento che è in gran parte determinato dalla crescita futura della popolazione, soprattutto nei paesi in via di sviluppo.
“Se ci saranno più persone che vivono in regioni del mondo vulnerabili al clima, i danni causati dai cambiamenti climatici saranno maggiori e quindi la politica sul clima è una priorità più urgente”, spiega un co-autore dello studio, Dean Spears dell’Università del Texas.
“Abbiamo la responsabilità di proteggere i cittadini futuri contro i livelli inaccettabili dei danni provocati dai cambiamenti climatici, ma come valutarli nelle nostre analisi politiche?”, riferisce un co-autore dello studio, Mark Budolfson. “Questa è la domanda fondamentale del nostro studio e speriamo che ricerche future riescano a risolvere questo problema”.
la Redazione
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