Patrimonio di 8 milioni di euro però risulta nullatenente
Un castello, un kartodromo, 37 terreni, 19 fabbricati, 3 aziende immobiliari ed una società finanziaria. Un vero e proprio tesoro di circa 8 milioni di euro, accumulati attraverso attività illecite.
A capo di questa ricchezza, frutto di prestiti a strozzo, c’era Santo Paglialunga, un sessantanovenne di Aradeo, in provincia di Lecce, uomo d’affari, titolare di un istituto finanziario, direi meglio di una banca privata, che ben si prestava come paravento per celare una fiorente attività usuraia esercitata approfittando delle difficoltà economiche, ma ancor di più dello stato di bisogno in cui versavano imprenditori salentini che, messi con le spalle al muro dalla crisi degli ultimi anni, si rivolgevano a lui per poter ottenere quei prestiti di denaro che le banche non concedevano con la stessa facilità.
Dal canto suo, l’uomo andava incontro alle esigenze dei suoi “clienti”, accordando i prestiti richiesti, diventando per molti di loro un vero e proprio benefattore, nonostante i tassi usurari applicati che arrivavano fino al 50-60% annui.
Un patrimonio stimato intorno agli 8 milioni di euro a fronte di guadagni al limite dell’indigenza.
Infatti dall’analisi della documentazione fiscale dell’uomo e del suo nucleo familiare è emerso un reddito che si potrebbe definire “da fame”, con 500 euro annui dichiarati dal 1996 al 2006.
Una sproporzione di quasi 880 mila euro è emersa nel corso delle indagini svolte dalla sezione 0perativa della DIA di Lecce.
Fu la denuncia di una delle vittime ormai con l’acqua alla gola, letteralmente strozzato dai debiti, a mettere in moto la macchina investigativa.
Emerse così come tanti imprenditori, bisognosi di liquidità, pur di superare le difficili situazioni economiche in cui versavano, firmarono atti di cessione di proprietà immobiliari.
Non si parla in questo caso di un soggetto contiguo alla criminalità organizzata, bensì di un uomo che agiva in proprio con il solo appoggio del suo nucleo familiare, moglie e due figli, ai quali, appena maggiorenni aveva pensato bene di intestare alcuni di quei beni frutto della suoi illeciti affari, ritenendo forse, in questo modo, di poter eludere eventuali indagini patrimoniali.
Una vicenda, questa, che mette in luce sfrontatezza e arroganza, con una buona dose di ostentazione, come dimostra l’acquisto di un castello per il quale vi era una progetto per la realizzazione di una struttura turistica, di chi, in barba a ogni legge penale e morale, approfittando dello stato di bisogno di imprenditori e non solo, si impossessa dei loro beni e ne fa bella mostra.
L’aggressione dei patrimoni illeciti è tra le attività su cui la DIA indirizza gran parte della proprie risorse grazie a professionalità di rilievo esperte nel settore, capaci di analizzare in modo capillare il tenore di vita, le consistenze patrimoniali, le disponibilità finanziarie e l’attività svolta di soggetti ritenuti pericolosi,
nella convinzione che questo sia il modo più incisivo per minare in maniera energica il potere della criminalità, privandola di quei mezzi, che, se da una parte le danno forza, dall’altra attraverso il riciclaggio le consentono di inserirsi nel tessuto economico finanziario lecito, inquinando l’economia legale, con grave danno sia per lo Stato che per l’imprenditoria sana.
Ciò anche nella consapevolezza che ormai la criminalità ha subito una vera e propria mutazione genetica, assumendo le caratteristiche di una holding.
Per questo motivo lo strumento delle misure di prevenzione si potrebbe definire privilegiato per il contrasto alla accumulazione di patrimoni di provenienza illecita, tanto da assumere la connotazione di vessillo della lotta alla criminalità non solo organizzata.
Carla Durante – Capo sezione della Direzione Investigativa Antimafia di Lecce
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