Waterloo Azzurra a San Siro addio Russia 2018
Ce lo impone il destino e le scelte scellerate in campo e fuori dal campo. I prossimi mondiali dobbiamo scegliere una squadra per cui rifare visto che la nostra Nazionale è stata sbattuta fuori da una più che modesta Svezia che era riuscita a segnare un golletto nella gara d’andata, è stato sufficiente alzare le barricate a San Siro per ritirare il passaporto per Mosca.
Corsi e ricorsi storici, abbiamo disertato i mondiali del 1958 disputati in Svezia e a distanza di 60 anni è ancora la Svezia a vietarci di partecipare alla fase finale del campionato.
Siamo passati velocemente dall’euforia dei recenti Europei con in panca il vulcanico Antonio Conte capace di galvanizzare un ambiente sonnacchioso e di far divenire famosi giocatori vissuti in periferia e quasi sempre all’ombra, ad un periodo grigio e impersonale con Giampiero Ventura. Nel 1958 fu l’Irlanda del Nord, formazione di onesti lavoratori del pallone, agli spareggi a proibirci di partecipare alla manifestazione più importante per le nazionali, oggi sono stati i biondi vikinghi guidati da Jansson.
Le ragioni di questa umiliante eliminazione per gli azzurri che si fregiano di quattro stelle come la Germania ed una di meno del Brasile, vanno ricercate con la infelice nomina di un tecnico che nel suo curriculum di calciatore vanta presenze nella Sestrese, nell’Enna, nella Sanremese e nella Novese. Come allenatore va un po’ meglio perché ha guidato l’Albenga, il Rapallo, l’Entella e altre minori per poi passare a club più titolati ma senza mai maturare esperienze in campo internazionale. Sarebbe stato in grado di condurre l’Italia a Russia 2018? Si può affidare una Nazionale ad un tecnico che non ha mai valicato le Alpi? I dirigenti della Federazione se le sono posti tali interrogativi?
Difatti pur capitando in un girone non eccessivamente proibitivo con la sola innocua Spagna, che oramai è solo l’ombra della temibile Spagna campione del mondo del 2010, alla seconda giornata il 6 ottobre 2016 a malapena riusciamo a strappare un pareggio all’Allianz Stadium di Torino dopo essere rimasti sotto di un gol ci pensa De Rossi al 37’ del secondo tempo ad acciuffare il pareggio.
Una gara che andava vinta ad ogni costo e a testa alta, riusciamo per il rotto della cuffia ad incassare un punticino. Ciononostante nell’ambiente azzurro si respira aria di tranquillità come se al ritorno dovessimo fare una passeggiata nella penisola iberica. Le furie rosse, giusto per pro memoria, ci bastonano a Madrid con un indiscutibile 3-0.
Tranquillità, oppure superficialità, manifestata sino a pochi attimi prima di scendere in campo a San Siro contro gli svedesi. Tutti convinti di aver staccato il biglietto per Mosca, dal presidente all’ultimo usciere. Un coktail di presunzione, arroganza e leggerezza. Il Paron, Nereo Rocco, che di calcio se ne intendeva e qualcosa in Italia e nel mondo l’ha vinta, era solito dichiarare che con i calciatori serve il bastone e la carota. I novelli dirigenti e tecnici di Casa Italia la lezione non l’hanno studiata né tantomeno messa in pratica. E questi sono i risultati.
Il vuoto che ha accompagnato la Nazionale a San Siro è testimoniato dall’episodio De Rossi. A metà della ripresa Ventura chiama un aiutante dello staff e lo invita ad avvisare il capitano della Roma che deve riscaldarsi, De Rossi sbotta: “Ma che devo entrare io? Noi dobbiamo giocare per vincere non per pareggiare” e con lo sguardo fa cenno ad Insigne.
Confusione totale.
Ovvio che tutte le colpe non possono gravare sul groppone del tecnico genovese e su quanti lo circondano, un mea culpa obbligatorio deve farselo la dirigenza, devono farsela quanti non hanno onorato al massimo la casacca Azzurra. Tutta quella gente convinta di essere pari, o fors’anche superiori, a Messi e Ronaldo mentre a taluni campioni non potrebbero neppure portargli il borsone. Calciatori valutati decine di milioni di euro grazie agli intrallazzi e alle furbizie di procuratori e taluni dirigenti di club.
Una Federazione che non è stata capace di convincere Antonio Conte a restare e nel contempo non ha saputo scegliere un allenatore esperto e motivato, un tecnico che avesse maturato esperienze internazionali e con tanta voglia ed ambizioni. Invece hanno preferito Giampiero Ventura che in tutta la sua carriera da giocatore e da tecnico non ha mai alzato un trofeo degno di ammirazione.
Ma se non ha mai vinto con un club come si poteva ipotizzare che sarebbe stato capace di vincere con gli Azzurri?
Il Mondiale di Berlino 2006 ce lo siamo aggiudicati con in panchina un certo Marcello Lippi il quale con la Juve aveva vinto in Italia, in Europa e ovunque e che, oltretutto, aveva puntato sul blocco bianconero.
Serve porre dei paletti alla sfrenata invasione di giocatori stranieri mezze calzette che riempiono le formazioni dietro il pungolo dei procuratori che oramai sono divenuti i veri padroni del calcio peninsulare.
Albergasse un pizzico di dignità nell’animo di quanti non sono riusciti neppure a vincere un girone eliminatorio alla portata di una nazionale di valore medio e, peggio ancora, a superare una Svezia opaca e priva di spessore tecnico, il minimo che costoro dovrebbero fare (alti dirigenti Figc e intero staff tecnico) sarebbe quello di presentare dimissioni irrevocabili.
Però l’animo di quanti ruotano attorno ai lauti introiti della Nazionale vincitrice di quattro titoli mondiali non appartiene alla categoria “dignità”.
Bruno Galante
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