La mano robotica assomiglia sempre più a quella umana
Sviluppata dall’istituto di Biorobotica della Scuola Sant’Anna di Pisa, la mano robotica non si limita a un semplice apri e chiudi, ma si muove nel modo più naturale grazie all’impiego di alcuni magneti impiantabili. Il prossimo passo il test sull’essere umano
Una mano robotica che non si limita a un semplice apri e chiudi, ma si muove nel modo più naturale possibile. È ciò che promette una nuova tecnologia sviluppata dall’istituto di Biorobotica della Scuola Sant’Anna di Pisa. Un approccio che supera i segnali elettrofisiologici, tradizionalmente sfruttati per controllare la contrazione dei muscoli residui di un arto amputato, e utilizza i magneti.
Tutto è partito dalla constatazione dei paletti dell’attuale metodo. “Le protesi odierne, per quanto sofisticate, funzionano grazie ai segnali elettrici dei muscoli”, spiega Christian Cipriani, direttore dell’istituto di Biorobotica e coordinatore della ricerca realizzata con i colleghi Sergio Tarantino, Francesco Clemente, Diego Barone e Marco Controzzi.
In pratica, quando una persona che ha perso la mano pensa di muovere un indice contrae i muscoli corrispondenti dell’arto residuo.
Un movimento associato a un passaggio di corrente elettrica che può essere captata attraverso dei sensori indossabili.
“Ma usando queste informazioni si riesce semplicemente ad aprire o chiudere il pugno. Mentre la destrezza della mano viene completamente persa”.
Da qui la necessità di cercare un’alternativa. “Abbiamo pensato d’impiantare nei muscoli dei magneti – prosegue il ricercatore – Così quando, per esempio, il muscolo del pollice si muoverà di un centimetro i magneti saranno in grado di capirlo con estrema precisione”.
Quel segnale verrà poi decodificato e trasformato in un comando spedito alle dita della mano robotica.
Un’idea che è piaciuta tanto che il progetto, chiamato Myki, ha ottenuto un finanziamento di 1,5 milioni di euro dall’European Research Council attraverso il programma ‘Erc Starting Grant 2015’, considerato uno dei più competitivi a livello globale. L’approccio ha dimostrato di funzionare in un esperimento condotto su un avambraccio robotico e muscoli artificiali.
In una ricerca pubblicata su Scientific Reports, infatti, gli scienziati hanno provato di essere in grado di monitorare la contrazione di quattro muscoli artificiali dei 18 che controllano il movimento della mano. E anche se sarà difficile che nel prossimo domani si arrivi a controllarli tutti, si punta ad ampliare il numero il più possibile.
Ora la parte più difficile: i test sull’essere umano. Per arrivarci, entro il 2021, mancano tutti quei passaggi necessari per una sperimentazione sicura sull’uomo: i magneti devono essere resi biocompatibili e impiantabili.
“Il nostro obiettivo – conclude Cipriani – è far muovere le dita della protesi in modo indipendente, come quelle naturali, e restituire le percezioni sensoriali“.
la Redazione
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