Si chiude la XVII Legislatura cialtrona e irregolare
Il 24 e 25 febbraio 2013 gli italiani dovevano scegliere il premier fra tre candidati: Bersani, del Pd, Berlusconi, di Fi, e Grillo, M5S. Nessuno dei tre raggiunge il quorum per governare, e allora si procede tra pastrocchi e minestroni. Ad aprile le Camere devono eleggere il Presidente della Repubblica ed il nome che circola maggiormente è quello di Romano Prodi, ma un esercito di franchi tiratori, 101 per l’esattezza, lo illude e lo spedisce a casa. Franchi tiratori che, seppur ancora sconosciuti, vanno individuati tra i banchi della sinistra.
È il primo grande pastrocchio della Legislatura. In mancanza d’altro deputati e senatori convergono sul nome di Napolitano che accetta la ricandidatura. E così il plurititolare di pensioni e privilegi viene rieletto. Oramai il Pd è divenuto un plotone di tiratori sinistri, il presidente rieletto affida a Enrico Letta l’incarico di formare il governo invece che a Pier Luigi Bersani. Rimane in carica per 300 giorni.
Al governo Letta spetta il record di aver nominato nella storia plurisecolare dell’Italia un ministro colored, la congolese Kashetu (Cecile) Kyenge, meteora che non lascia tracce. Il 27 novembre Silvio Berlusconi per effetto della “legge Severino” decade come senatore.
L’8 dicembre 2013 alle primarie del Pd una marea di voti convergono sul sindaco di Firenze Matteo Renzi, ben il 67,55 percento, il quale alla Stazione Leopolda in numerose occasioni aveva annunciato di voler rottamare il marciume esistente all’interno del suo partito per cui non è difficile prevedere che vorrà attuare il suo programma di pulizia interna. Matteo Renzi diviene segretario del Pd e succede a Guglielmo Epifani. Trascorrono un paio di settimane e si mette in moto lo scontro Letta-Renzi, il sindaco fiorentino principia a togliere il terreno da sotto ai piedi del premier non votato dagli italiani.
Il 13 febbraio 2014 la direzione nazionale del Pd approva a maggioranza stalinista (136 sì, 16 no e 2 astenuti) una mozione proposta da Renzi con la quale si chiede le dimissioni di Letta e la formazione di un nuovo governo, la direzione del partito rileva “la necessità e l’urgenza di aprire una fase nuova, con un nuovo esecutivo”.
Il panzer fiorentino si è messo in moto, la rottamazione ha avuto inizio. Il 14 febbraio Letta rassegna le dimissioni irrevocabili nelle mani di Napolitano. Una settimana dopo, il 21, Renzi presenta al presidente della Repubblica la lista dei ministri del suo governo.
Si insedia con veemenza pur non essendo stato voluto dagli italiani e senza neppure essere parlamentare. Ennesimo pataracchio italiota. Si circonda di ministri, sottosegretari e viceministri super fidati immaginando che prima o poi qualcuno gli tirerà qualche colpo mancino, dei 16 ministri 4 provengono dal Lazio e dall’Emilia Romagna, 2 dalla Toscana, dalla Liguria e dalla Lombardia, 1 dal Piemonte ed 1 dalla Sicilia in rappresentanza di tutto il Meridione (l’eclettico Angelino Alfano).
Il 31 gennaio 2015 Sergio Mattarella viene eletto presidente della Repubblica.
Il 4 dicembre 2016 il governo Renzi scivola sulla buccia del referendum costituzionale ed ottiene il 40,88 per cento dei voti, il giorno successivo si reca da Mattarella per presentare le dimissioni, è durato 1.024 giorni.
Gli succede Paolo Gentiloni che sino ad allora ha ricoperto l’incarico di ministro degli Esteri. Nel frattempo è scoppiato il caso Banco Etruria nel quale è coinvolta direttamente Maria Elena Boschi,
ministro per le Riforme costituzionali e Rapporti con il Parlamento con Matteo Renzi e sottosegretario di Stato alla Presidenza del consiglio dei ministri con Gentiloni. Migliaia di piccoli risparmiatori vedono sfumare i sacrifici di una vita dalla sera alla mattina.
Contemporaneamente si assiste ad un’invasione di migrantes salpati dalle coste del Mediterraneo africano: nel 2013 sono 42.925, nel 2014 diventano 170.100, nel 2015 ne approdono 153.842, nel 2016 salgono a 181.436 per poi scendere a 118.928 nel 2017 (aggiornato al 28 dicembre) per un totale di 667.231. Nella stragrande maggioranza dei casi sono giovanotti palestrati con doppio cellulare che scappano dalle loro province per mancanza di desiderio di lavorare convinti di trovare l’eldorado nel nostro Paese e non sapendo che in Italia ben 4.700.000 connazionali vivono in povertà assoluta ed il 40 percento dei giovani sono alla ricerca di un lavoro.
Delle decine di migliaia di giovanottoni colored neppure il 15 percento potrebbe essere ospitato nella penisola, il resto dovrebbe essere rispedito a casa, ciò non avviene e se ne avvantaggiano le numerose cooperative e associazioni bianche e rosse che ingrossano i conti correnti e si sfregano le mani.
L’ultimo regalo che Gentiloni e compagni volevano affibbiare agli italiani è il famigerato “ius soli” con il quale intendevano regalare a migliaia di extracomunitari la cittadinanza italiana, regalo finalizzato ad incrementare il prevedibile magro bottino di voti della sinistra.
Il 4 marzo prossimo gli italiani sono chiamati alle urne per decidere il proprio futuro, un futuro che appare alquanto incerto visto il sistema elettorale, il cosiddetto Rosatellum, che ancora prima di essere approvato ha suscitato un vespaio di polemiche e contraddizioni.
La polemica delle ultime ore vede coinvolto il presidente del Senato Piero Grasso che ha sforato sistematicamente il tetto dei 240.000 euro di retribuzione, tetto che le alte cariche dello Stato hanno rispettato. Nel modello 730 del 2014 ha dichiarato di aver percepito da “redditi da lavoro dipendente” 340.000 euro, pressoché identico nel 2015, 340.790, e nel 2016 si è leggermente assottigliato scendendo a 320.530.
L’ex magistrato Antimafia avendo rotto i legami con gran parte dei compagni del Pd ha fondato un suo partito stranamente battezzato “Liberi e uguali”. Liberi molto probabilmente possiamo esserlo tutti, uguali a percepire 300.000 euro e passa l’anno è pressoché impossibile, resta un privilegio per pochissimi della casta.
L’appuntamento è per il prossimo 4 marzo.
Bruno Galante
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