La casta riprende a ingrassare e alla truppa i sacchetti bio
I signori in frac e papillon non perdono tempo e dal primo dell’anno sono tornati ai vecchi super privilegi. Da lunedì scorso è stato eliminato il tetto agli stipendi dei dipendenti statali,l introdotto nel 2014, e così nel 2018 sono volati via 23,4 milioni di euro di risparmi che avrebbe procurato solo Montecitorio.
Quel taglio ai super stipendiati della casta che da quest’anno doveva divenire strutturale è stato cancellato. Gli oltre mille ricorsi che i privilegiati hanno presentato alla Commissione giurisdizionale hanno sortito effetti e si torna al vecchio sistema. Sono saltati i tetti e sottotetti e sono tornati gli antichi scaglioni di anzianità con progressioni sino a fine carriera (40 anni di servizio e oltre contro i 23 ).
E così questi baroni della burocrazia nella calza hanno trovato i regali tanto agognati.
Gran parte del merito va ascritto all’autodichia di cui godono i signorotti. L’autodichia non è altro che il suggello dei privilegi di cui godono questi baroni.
È la particolare prerogativa della Camera e del Senato di risolvere le controversie in essere con i propri dipendenti attraverso un organismo interno istituzionale.
Ovvero una massima autonomia tramite la quale salvaguardano i loro interessi e non consentono ingerenze esterne e la Corte costituzionale ha riconosciuto tale forma di giurisdizione sulla base dell’idea che deroghe alla giurisdizione sono concepibili nei confronti degli organi immediatamente partecipi del potere sovrano dello Stato consentendo una posizione di assoluta autonomia ed indipendenza.
In pratica una Repubblica in un’altra repubblica.
Ed in questa maniera il Parlamento consente ai dipendenti di Camera e Senato di percepire stipendi da nababbo e di sfuggire a leggi e regolamenti ai quali sono sottoposti la quasi totalità degli italiani. Per citare qualche esempio.
L’ “Operatore tecnico” di primo livello, nel quale sono compresi le professioni di barbiere, centralinista, falegname, elettricista e altro, nel “Quadro delle retribuzioni lorde dei dipendenti della Camera” è specificato che la retribuzione iniziale lorda è di euro 30.351,39 oltre a 5.293.39 euro di oneri previdenziali. Dopo dieci anni diventano 50.545,28 e 8.858,96, con 20 anni di anzianità percepiscono 89.528,05 e 15.747,04, ai 30 anni di anzianità lo stipendio sale a 121.626,43 e 21.426,26 di oneri previdenziali, infine con l’ultimo scatto di 40 anni di anzianità incassano 136.120,45 e 23.994,19.
Cifre da capogiro per un primo livello.
Mentre il “Consigliere parlamentare” inquadrato con il quinto livello con la prima busta paga trova 64.815,28 euro oltre a 11.379,84 di oneri previdenziali e a fine carriera con 40 anni di anzianità il mega stipendio arriva a 358.001,43 euro oltre a 63.218,84 di oneri previdenziali.
A queste cifre vanno aggiunti gli spiccioli delle indennità mensili di funzione che oscillano da 110,33 euro a 662,02.
Altra disparità ciclopica con il resto del mondo lavorativo riguarda le assenze per malattia, per i signorotti di Camera e Senato le assenze per malattia possono raggiungere i 36 mesi a differenza di un lavoratore del settore privato che la massimo può assentarsi per malattia per 6 mesi.
Ennesima assurdità è quella del licenziamento: i privilegiati del Palazzo non possono essere licenziati, al massimo vengono ricollocati. È accaduto di recente che tre barbieri ritenuti in sovrannumero sono divenuti “assistenti parlamentari”. In sostanza sono stati promossi al livello superiore.
Altro che regolamento borbonico.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella riscuote 239.000 euro lordo l’anno per 13 mensilità.
Per controbilanciare gli stipendi dei 2.200 dipendenti della Camera e del Senato il governo Gentiloni si è inventato la gabella dei sacchetti biodegradabili monouso. Una goccia d’acqua nell’oceano dell’inquinamento.
Il motivo addotto dai governanti di sinistra è la richiesta pervenuta da Bruxelles per ridurre l’utilizzo della plastica. E casualmente noi che siamo sempre gli ultimi nelle graduatorie questa volta siamo stati i primi, e sinora gli unici, ad adottare il provvedimento che favorisce alcuni produttori molto vicini al Pd.
Se proprio volevano ridurre la plastica non sarebbe stato meglio imporre i sacchetti di carta? E se si vuole ridurre l’inquinamento non sarebbe meglio imporre alle pubbliche amministrazioni l’utilizzo di bus elettrici o a metano o a gpl?
Hanno preferito costringere i consumatori a pagare tra 1 e 5 centesimi per i sacchetti della grande distribuzione per l’acquisto di ortofrutta, carne, pesce, prodotti di gastronomia e panetteria, salvo poi verificare che il prezzo dei bio sacchetti monouso nei piccoli esercizi può arrivare sino a 10 centesimi.
Ma se la direttiva UE 2015/720 del 29 aprile 2015 non prevede l’obbligo di pagare i nuovi sacchetti ultraleggeri monouso, per quale ragione in Italia devono essere i consumatori ad accollarsi tale insulso onere?
Bruno Galante
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