Il locomotore della moda è ripartito segnali incoraggianti
Firenze chiude le rassegne della moda e già si proietta alle prossime che si terranno a giugno. Seppure i dati economici di fine anno non siano eccezionali pur tuttavia testimoniano che il tunnel è oramai alle spalle e che ci siamo incamminati verso nuove stagioni dense di gratifiche. Tra i paesi occidentali siamo nelle retrovie ma ciò è dovuto anche, o forse innanzitutto, al carico fiscale che si abbatte sulle aziende e sui lavoratori. Nel 2016 siamo posizionati al sesto posto nell’area Ocse per pressione fiscale con un livello al 42,9% sul Pil, seppure in tenue miglioramento di quattro decimi rispetto al 2015. Ci sovrastano di pochissimo solo Danimarca, Francia, Belgio, Finlandia e Svezia in compenso la nostra macchina burocratica amministrativa si ritrova saldamente nelle retrovie.
Ultima a chiudere i battenti, dopo l’Uomo e il Bimbo, è stata Pitti Filati i cui dati di chiusura sono sostanzialmente stabili rispetto a quelli della passata edizione invernale. Con circa 4.350 compratori, di cui 1800 esteri pari al 41%, è la più importante rassegna tessile italiana con circa 120 espositori ma che è troppo distante da quelle di Monaco di Baviera, 1.000 espositori, e quella di Parigi, oltre 1.700, per non citare Shanghai che con i suoi 3.000 espositori è la fiera più grande del pianeta.
Uno degli stand più indaffarati e più impegnati a riempire copie commissioni è stato quello della Cofil di Montemurlo (Prato). Un’azienda relativamente giovane, nasce nel 1970, ha saputo farsi spazio amalgamando perfettamente passione, fantasia e innovazione tecnologica. Potendo disporre di tre modernissimi impianti di filatura gode di una certa autonomia di produzione che le consentono di ottenere 40 milioni di chilogrammi di filati all’anno destinati ai mercati europei, asiatici e americani. In sostanza ogni tre gironi riempiono un autocarro quattro assi della portata di 320 quintali.
Molti di quei filati li ritroveremo nelle boutique delle principali vie delle capitali della moda planetaria.
Martina Giusti è la responsabile commerciale e marketing, ruolo che le consente di conoscere in anticipo le tendenze della moda e le prospettive di sviluppo produttivo.
In uno dei rarissimi momenti di relax siamo riusciti a sederci e a chiacchierare quasi senza essere distratti.
Il punto di partenza è l’uscita dalla crisi.
“Per quel che riguarda la nostra azienda non mi fa fatica sostenere che il buio della notte è alle spalle. Da alcune stagioni abbiamo registrato ottimi risultati, nell’ultimo decennio siamo passati da circa 12 milioni di euro di fatturato a poco più di 30. In fabbrica eravamo circa 40 dipendenti ed oggi siamo un centinaio. Sarebbe scorretto esternare dei lamenti o piagnucolare. Né tantomeno ci siamo montati la testa o ci illudiamo che da ora in avanti tutto sarà più semplice. Ad ogni stagione siamo sottoposti ad esami e dobbiamo arrivare preparati e concentrati per ridurre al massimo gli errori. Fa parte del nostro lavoro”.
Siamo in fase di ripresa però bisogna gli investimenti devono essere mirati.
“La Cofil non ha lesinato nell’investire in macchinari all’avanguardia in grado di soddisfare le esigenze e le evoluzioni della moda. Noi lavoriamo parecchio con il pronto ed i nostri collaboratori sono dotati di professionalità in grado di esaudire qualsiasi richiesta. Ricerca ed elasticità sono basilari in un’azienda tessile moderna. Siamo spesso in giro per il mondo ed in ogni località cerchiamo di carpire qualche idea e portare a casa immagini da studiare”.
Nello stand tanti volti giovani.
“L’età media dei dipendenti oscilla da 30 a 35 anni, iniziano a preparali professionalmente già dai 20 anni in maniera che a 30 anni possano già aver immagazzinato diversa esperienza. Inoltre con alcune scuole sviluppiamo e concretizziamo diversi progetti così che non si presentino impreparati quando varcano i cancelli della fabbrica. Così la soddisfazione è reciproca e ce ne avvantaggiamo entrambi”.
Un Pitti Filati poco pimpante. Eppure la patria della moda e del fashion non riesce a creare le premesse per strappare a Parigi e Monaco di Baviera la leadership europea, siamo distanti un abisso dai tedeschi e dai francesi e ancora non si riesca a colmare le distanze che ci separano. D’altronde se non si investe e non si agevolano i produttori rimarrà ancora a lungo una manifestazione per pochi intimi.
“Attendevamo un flusso maggiore di compratori specie italiani. Invece in giro si vede poca gente. Inoltre non si studiano eventi esterni che possano trarre l’attenzione ed incentivare gli espositori. A Milano, in Francia, e altrove gli organizzatori creano eventi che diventano anche occasioni di scambi di opinioni. Per quel che ci costano le due manifestazioni annuali meriteremmo qualcosa in più. Investiamo oltre 55.000 euro solo per lo spazio dello stand ed in cambio riceviamo appena 15 pass che non bastano nemmeno per noi collaboratori diretti dell’azienda. Idem per quel che riguarda la classe politica che ascolta poco le nostre richieste, mentre avremmo bisogno di politici attenti a recepire le nostre idee e suggerimenti”.
Alcuni mercati esteri lanciano segnali incoraggianti e bene auguranti.
“Una parte importante del nostro export è diretto in Francia e Spagna e le previsioni sono ottimistiche, anche il mercato russo sta ripartendo bene. Discorso a parte con la Cina dove i nostri prodotti devono subire controlli continui a differenza di quanto avviene nei loro confronti che subiscono controlli parecchio blandi”.
L’ottimismo nei corridoi e negli stand si avvertiva, ora si tratta di comprendere cosa accadrà nella realtà.
bruno galante
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