Le foibe per molti sono un Ricordo da smemorizzare
Se Arbeit macht frei è divenuta una frase simbolo del nazismo, dei lager e degli stermini hitleriani, ripetuta sino all’ossessione dai nostalgici bolscevici nonostante siano trascorsi oltre 70 anni, tutte le stragi, gli stermini, gli olocausti compiuti da Stalin e compagni si cerca di farli passare nel dimenticatoio.
Pare di essere tornati indietro agli anni Settanta e Ottanta allorquando si dava la caccia ai fascisti non avendo altri argomenti politici da affrontare. Il nemico erano i “neri” e non si guardava dall’altra parte della sponda dove germogliava e si irrobustiva il seme rosso che tanto sangue e morte ha procurato lungo tutta la Penisola con il logo di una stella a 5 punte tinta di rosso.
Le giunte sinistre organizzano viaggi premio gratuiti verso Auschwitz e cancellano dalla memoria e dalle pagine dei libri di storia la pulizia etnica compiuta dalla IV Armata jugoslava, dalla spietata polizia politica titoista, dalle centinaia di collaborazionisti comunisti italiani che si muovevano dalla Venezia Giulia, dall’Istria, sino alla Dalmazia nell’immediato dopoguerra alla ricerca del nemico da affossare o infoibare. I delitti commessi dai compagni di Tito sono di una ferocia inaudita e malvagità disumana, contro italiani che non si erano collusi con il fascismo, contro italiani che non si allineavano perfettamente con i desideri del rosso Tito.
Per troppi anni si è voluto nascondere le nefandezze comuniste italiane e jugoslave per timore di riaccendere quell’odio mai sopito, che riemerge anche con leggeri aliti di vento.
Di recente sono riapparsi quegli slogan impolverati e mai cancellati, favorevoli alle foibe, favorevoli al pestaggio di carabinieri e poliziotti, compagni propensi a pubblicare foto di avversari politici con la testa all’ingiù.
In queste ore Toni Capuozzo sul suo profilo facebook ha pubblicato un commento sulle ultime vicende a proposito delle foibe.
Toni Capuozzo è nato a Palmanova, Udine, nell’immediato dopoguerra da padre napoletano e madre triestina, quei racconti ascoltati durante l’infanzia e l’adolescenza se li porta sempre dietro. Toni non è mai stato iscritto ad alcun partito di destra, anzi per qualche anno ha persino canticchiato Bandiera rossa.
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Leggo commenti che minimizzano, isolano, circoscrivono. Non mi interessa quanti fossero, chi fossero, se siano stati isolati o ignorati, quelli che hanno inneggiato alle foibe nel corteo antifascista di Macerata. Il problema è che c’erano, ritenevano di aver diritto di esserci, e ci sono rimasti. E molti tra quelli che hanno partecipato, o solidarizzato da lontano con quella manifestazione sembrano più intenti a cogliere le sfumature che ne conseguono nel rapporto tra le varie anime della sinistra che a ragionare su quella macchia.
Per me è indelebile. Perché ha a che vedere solo con l’ignoranza, con il fatto che la scuola non insegna e non vuole insegnare (al liceo Einstein di Cervignano del Friuli insegnano, nel Giorno del Ricordo, balli sudamericani, al Liceo Pasteur di Roma invitano una negazionista).
Si spiega, quello slogan – e la disinvoltura con cui tanti altri se lo scrollano di dosso – con un giustificazionismo di chi si ritiene sempre la parte migliore del Paese, e dimentica allegro le sue colpe.
Ci dicono: e i crimini commessi dagli italiani? Ci furono, durante l’occupazione dei Balcani. E ci furono prima brucianti ingiustizie e italianizzazioni forzate. Credete che i responsabili abbiano pagato? No, se l’erano data per tempo. I titini si sfogarono su chi era rimasto, pensando ingenuamente di non aver nulla da temere. Infoibarono persino membri del CLN, e un ebreo sopravvissuto ai campi di sterminio nazista. E allora, sapete come si chiama, nella sordida algebra dei dolori, quella reazione? Rappresaglia: esattamente come i nazisti con le Fosse Ardeatine dopo via Rasella, e paradossalmente esattamente come il preteso giustiziere Traini, che spara a chiunque sia nero di pelle. Vendette nel mucchio.
Ci dicono le massime autorità del Paese: i nazionalismi …. No. Tra i partigiani del IX Corpus slavo c’erano italiani. E gli sloveni hanno appena pubblicato una mappa delle loro fosse comuni: 600. Vi sono stati gettati sloveni e croati, dai titini. Il silenzio sulle foibe serve anche a nascondere le responsabilità del comunismo, a togliere dall’imbarazzo.
Sapete come furono accolti gli esodi da Fiume, da Zara, da Pola? Con le bandiere rosse dai portuali di Ancona. Con la protesta dei ferrovieri bolognesi. Era comodo addossare loro, che fuggivano dal paradiso socialista, le colpe che erano di tutti gli italiani. Quanti treni diretti ai lager nazisti erano stati fermati, quando farlo sarebbe costato qualcosa? Nessuno. Considerare fascisti chi era contemporaneamente vittima del fascismo e del comunismo era più facile, loro erano i vinti, e chi li disprezzava – l’accoglienza non era di moda – era l’Italia che aveva combattuto dalla parte sbagliata. Noi, gli altri, eravamo tutti partigiani del 26 aprile, tutti dalla parte giusta, anche se da Pola non avevano mai fatto corriere per andare alle adunate di piazza Venezia.
Mi ha amareggiato anche vedere i cortei di Casa Pound nel Giorno del Ricordo. È un loro diritto, ma non riesco mai a non vedervi un’appropriazione indebita, un abbraccio alla solitudine degli esuli e dei loro figli che sa di bacio della morte. Lasciateci soli, discorsi ufficiali ipocriti, cortei neofascisti, cortei antifascisti, soli con le storie delle morti atroci, con gli addii strazianti, con le nostalgie dolorose. Meglio dimenticati che tirati per la giacca, o stracciati nelle contese elettorali. Forse è un destino, per gente che si è rifatta un’esistenza in solitudine, e che oggi vede persino le proprie parole abusate fino a perdere di valore, di significato: profughi, accoglienza, integrazione.
Lasciatemi dire solo una cosa in più: ignorando quelle pagine di storia, stravolgendole, avete perso una lezione. Molti colleghi di mio padre, poliziotto, furono infoibati, e molti altri morirono nei lager nazisti. Le presero dalle due ideologie mortali del ‘900, nazifascismo e comunismo. Fecero in tempo, da vivi, a salvare centinaia di ebrei.
Per me quella lezione, oltre alla grata amicizia di qualche amico israeliano, ha voluto dire che ognuno è responsabile di quello che fa, di quello che può fare e non può fare, e che anche nel buio più profondo un tuo gesto può salvare altri e te stesso.
Voi fate i vostri conti elettorali, le vostre schegge impazzite esaltino Traini o le foibe, e sentitevi pure antifascisti e anticomunisti abili e arruolati. Per fortuna, pregio e difetto insieme di noi italiani, è solo commedia, uno slogan, una scritta sul muro, un infierire su un carabiniere solo, un corteuccio a bandiere schierate. Ecco, una cosa potreste fare, lasciare perdere l’idea dell’Italia migliore, e il tricolore. C’è la fotografia di una bambina esule, e un tricolore poggiato sul carretto con le masserizie. Era gente che amava la patria, anche se parlava il dialetto. Ha continuato ad amarla anche dopo, in Australia e in Canada, a Fertilia o a Trieste. Come si ama un padre stanco, confuso, dimentico, che non ti riconosce più, ma è pur sempre tuo padre.
Paese ipocrita e allegro, superficiale e feroce, era meglio se non ci regalavi, omaggio postumo, il Giorno del Ricordo. Metterti in vetrina per vederla rompere, era meglio restare nel retrobottega della Storia.
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Anselmo Faidit
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