È un’Italia divisa e diversa anche per la salute regionale
Il problema delle disuguaglianze nel settore della sanità è stato ampiamente trattato dalla letteratura scientifica, soprattutto per individuarne le principali determinanti.
Secondo questi lavori, i fattori principali delle disuguaglianze sono legati al contesto e agli individui.
I primi si riferiscono agli aspetti di sistema, quali risorse a disposizione del Servizi sanitario nazionale (Ssn), la sua organizzazione ed efficacia; altri fattori di possono essere riscontrabili nel contesto di vita, per esempio il livello di deprivazione, il grado di urbanizzazione e il capitale sociale del territorio di residenza.
I fattori individuali sono sia di natura biologica, quali il genere, l’età e patrimonio genetico, sia di natura socio-economica, questi ultimi legati al titolo di studio, alla condizione professionale e al livello di reddito.
Alcuni studi assegnano maggiore rilevanza ai fattori individuali piuttosto che a quelli di contesto, attribuendo implicitamente, a parte gli aspetti biologici, al comportamento di ogni individuo la responsabilità delle proprie condizioni di salute.
L’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, con questo focus, non entra nel merito della gerarchia delle determinanti delle disuguaglianze, ma si limita a documentare le disuguaglianze osservate nel nostro Paese mettendole in relazione con i principali fattori individuali e di contesto.
Prima di entrare nel merito delle analisi, appare interessante richiamare alcuni dei principi insiti nel nostro Ssn, in particolare quelli attinenti al tema delle disuguaglianze.
Il Servizio sanitario nazionale è nato con l’obiettivo di tutelare la salute, come diritto fondamentale dell’individuo e della collettività, e superare gli squilibri territoriali nelle condizioni socio-sanitarie del Paese.
Il principio alla base del Ssn è l’universalismo ritenuto un presupposto per l’uniformità delle condizioni di salute sul territorio (cfr Legge 23 dicembre 1978 n. 833, Art. 1, 2 e 3).
A circa quindici anni dalla legge istitutiva del Ssn, in un quadro che vede il nostro Paese affrontare i forti vincoli di finanza pubblica imposti dagli accordi di Maastricht, si avvia la prima riforma, finalizzata a migliorare l’efficienza economica, attraverso l’aziendalizzazione delle articolazioni territoriali (Azienda sanitarie locali (Asl)).
Tra i principi cardini di questa riforma la responsabilità del pareggio di bilancio in capo ai Direttori generali delle Asl, la coerenza tra i livelli uniformi di assistenza sanitaria e il quadro clinico ed epidemiologico delle Regioni, infine il legame tra le prestazioni da garantire a tutti i cittadini e il volume di risorse a disposizione. Pertanto, prima la Legge del 30 dicembre del 1992, n. 502, poi quella del 7 dicembre 1993, n. 517, introducono nel sistema il concetto della compatibilità tra volumi di prestazioni e risorse finanziarie disponibili.
A distanza di pochi anni il Ssn è interessato da una ulteriore riforma, nota come riforma ter, con la quale il legislatore introduce i livelli essenziali e uniformi di assistenza (Lea) (cfr Legge 19 giugno 1999, n. 229).
Si tratta di una lista di prestazioni, appropriate dal punto di vista clinico e correlate ai bisogni di salute della popolazione, utili per il perseguimento delle finalità stabilite negli Articoli 1 e 2 della legge istitutiva del Ssn.
L’essenzialità della lista richiama concetti di economicità ed efficienza, infatti, la selezione delle prestazioni è effettuata contestualmente all’individuazione delle risorse finanziarie destinate al Ssn che dovranno essere compatibili con i vincoli di finanza pubblica.
Il ciclo di trasformazione degli anni novanta si conclude all’inizio del nuovo millennio con altre due importanti novità legislative, la riforma del Titolo V della Costituzione e il Decreto legislativo n. 56 del 2000 che introduce il federalismo fiscale.
La riforma costituzionale stabilisce che il potere legislativo in materia di sanità è concorrente tra Stato e Regioni e perfeziona il principio di sussidiarietà, secondo il quale chi governa un sistema deve essere vicino ai cittadini per coglierne meglio i bisogni e i desiderata.
Allo Stato è assegnato il compito di stabilire il quadro normativo generale, alle Regioni è attribuito il compito di legiferare sul proprio territorio, per attuare le linee guida del Governo centrale e organizzare il servizi e gli interventi di sanità pubblica.
Il Decreto legislativo in materia di federalismo fiscale ha stabilito le fonti di finanziamento dei Servizi sanitari regionali: il gettito dell’Iva, dell’Irpef e il fondo di perequazione.
L’ammontare del finanziamento è stabilito dallo Stato per finanziare i Lea, gli eventuali deficit di bilancio sono stati posti a carico della fiscalità regionale.
Da questa breve storia del Ssn si evince facilmente come la riduzione delle disuguaglianze, sociali e territoriali, sia uno dei principi cardine del nostro welfare sanitario.
Ma anche che i vincoli di finanza pubblica hanno acquisito nel corso degli anni sempre maggiore importanza, fino a stabilire che i volumi di assistenza erogati debbano essere compatibili con le risorse assegnate.
Tornando al tema delle disuguaglianze di salute, gli indicatori evidenziano l’esistenza di sensibili divari di salute sul territorio, ne sono la prova i dati del 2017 della Campania dove gli uomini vivono mediamente 78,9 anni e le donne 83,3; mentre nella Provincia Autonoma di Trento gli uomini mediamente sopravvivono 81,6 anni e le donne 86,3.
In generale, la maggiore sopravvivenza si registra nelle regioni del Nord-est, dove la speranza di vita per gli uomini è 81,2 anni e per le donne 85,6; decisamente inferiore nelle regioni del Mezzogiorno, nelle quali si attesta a 79,8 anni per gli uomini e a 84,1 per le donne.
La dinamica della sopravvivenza, tra il 2005 e il 2016, dimostra che tali divari sono persistenti, in particolare Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna, Molise, Basilicata, Lazio, Valle d’Aosta e Piemonte restano costantemente al di sotto della media nazionale.
Tra queste la Campania, la Calabria e la Sicilia peggiorano addirittura la loro posizione nel corso degli anni.
Per contro, quasi tutte le regioni del Nord, insieme ad Abruzzo e Puglia, sperimentano, stabilmente, una aspettativa di vita al di sopra della media nazionale.
Piero Vernigo
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