Scoperte nuove tecniche per la rimozione dei tatuaggi
Uno studio recente mostra cosa succede ai pigmenti che costituiscono i tatuaggi: vengono custoditi dai macrofagi, cellule del sistema immunitario, e quando queste muoiono sono ereditate dalle cellule che si trovano accanto.
Il gruppo di studio composto da alcuni ricercatori francesi (B. Malissen, S. Henri, A. Baranska e F. Fiore) è stato sostenuto dal Centre National de la Recherche Scientifique, dall’Institut National de la Santé et de la Recherche Medicale e da Phenomin oltre che dal Consiglio Europeo della Ricerca.
Una scoperta che potrebbe apportare miglioramenti per quel che concerne le tecniche di rimozione dei tatuaggi, è quanto sostiene il gruppo di ricercatori.
Non sono pochi coloro che sovente si chiedono dove si trovi, biologicamente parlando, un tatuaggio?
Non parliamo ovviamente dei posti, più o meno celati, sede di scritte, disegni o simboli, ma di dove si posizionino i pigmenti che nell’insieme ci restituiscono l’immagine sulla pelle.
Si trovano nelle cellule, nella pelle, più specificatamente all’interno del derma.
Per diverso tempo i ricercatori hanno sostenuto che i pigmenti fossero custoditi all’interno di cellule note come fibroblasti, ma negli ultimi anni alcune ricerche hanno invece identificato i macrofagi, cellule del sistema immunitario, come i custodi di questi colori, che a parere di taluni studiosi si spingono ben oltre.
Custodi fedeli, così tanto che quando questi pigmenti muoiono la loro eredità viene trasmessa ad altri macrofagi vicini.
Così viene descritto in uno studio apparso sulle pagine del Journal of Experimental Medicine, secondo cui quanto scoperto potrebbe aiutare a migliorare anche le tecniche di rimozione dei tatuaggi.
La scoperta di questa eredità dei pigmenti è arrivata dalle osservazioni compiute su alcuni modelli animali.
I ricercatori hanno eseguito dei tatuaggi sulla coda di topi e successivamente hanno eliminato i macrofagi del derma, questo esperimento lo si è potuto realizzare utilizzando un particolare modello animale geneticamente modificato.
Studiando cosa accadeva nelle settimane successive i ricercatori si sono accorti che il tatuaggio non mutava d’aspetto, e che il pigmento perso dai macrofagi morenti veniva ricaptato da nuovi macrofagi, che si erano sviluppati a partire da quelle cellule conosciute come monociti.
Difatti veniva ereditato, nel contempo impediva al pigmento la diffusione e consentiva al tatuaggio di non scomparire e di mantenersi nel tempo.
Inoltre trasferendo un pezzo di pelle tatuata a un altro animale, il pigmento veniva ereditato sopratutto dai macrofagi del ricevente, ciò significa che quando un macrofago muore quelli posizionati accanto subentrino nel ruolo.
Finora, spiegano i ricercatori, l’ipotesi principale era che le cellule ricche di pigmenti vivessero per sempre, custodendo così l’integrità del tatuaggio, ma quanto osservato racconta in realtà di quando più mobile sia, a livello biologico, la permanenza del tatuaggio.
Ed apre spiragli anche sul ruolo che i macrofagi possano avere nel mantenere un tatuaggio, più che eliminarlo come farebbero con un patogeno.
Secondo il parere dei ricercatori quanto osservato permetterebbe di contribuire a migliorare persino le tecniche per la rimozione dei tatuaggi.
Ad oggi le più comuni tecniche utilizzano il laser per uccidere le cellule della pelle con i pigmenti e frammentarli e successivamente indirizzare questi ultimi verso il sistema linfatico per lo smaltimento.
Ma non è sempre facile eliminare i tatuaggi, alcuni rimangono più a lungo di altri, e uno dei motivi potrebbe essere proprio la ricaptazione da parte di cellule posizionate accanto.
L’idea del team francese è di specializzare la tecnica con l’ablazione transitoria dei macrofagi, così da diminuire le possibilità di ricaptazione del pigmento e facilitarne la rimozione.
Verrebbe forse da chiedersi a margine se, pur avendo rispettato tutte le direttive in termini di animal care come dichiarato nel paper, sperimentazioni su come rimuovere un tatuaggio possano considerarsi una priorità nella ricerca.
Arnaud Daniels
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