Aldo Moro, le brigate rosse e Barbara Balzerani
Quel 16 marzo 1978 fa parte della storia italiana, della Democrazia Cristiana, della società civile che ripudia delinquenti e assassini con le bandiere nere e con le bandiere rosse. Alle 9.02 un commando di undici assassini, tra i quali anche tre donne, guidato da Mario Moretti, che amava farsi chiamare ing. Borghi, ammazzò i cinque uomini della scorta e rapì lo statista democristiano Aldo Moro.
A distanza di oltre quarant’anni rimangono ancora diversi punti oscuri.
Del gruppo di fuoco facevano parte Mario Moretti, Valerio Morucci, Franco Bonisoli, Raffaele Fiore, Prospero Gallinari, Bruno Seghetti, Alessio Casimirri (è latitante in Nicaragua dove fa il ristoratore), Anna Laura Braghetti, Adriana Faranda e Barbara Balzerani tutti condannati all’ergastolo. Germano Maccari fu condannato a 26 anni e nel 2001 è deceduto nel carcere di Rebibbia.
Oltre ai cinque uomini della scorta ammazzarono altri servitori dello Stato.
La Fiat 130 blu era guidata dall’appuntato Domenico Ricci, al suo fianco sedeva il caposcorta il maresciallo Oreste Leonardi, sul sedile posteriore Aldo Moro. Sull’Alfetta che seguiva vi erano tre poliziotti che furono crivellati di colpi: il vice brigadiere Francesco Zizzi, la guardia Giulio Rivera e Raffaele Iozzino, l’unico che riuscì ad uscire dall’auto per sparare contro i delinquenti.
Nessuno dei condannati si trova dietro le sbarre e spesso fanno delle comparsate in televisione per raccontare la loro versione e visione di un periodo storico durante il quale brigatisti e compagni vari sono stati gli assassini ed il resto del palcoscenico le vittime.
Dopo un lungo e forzato silenzio grazie agli incitamenti del Pd e della sinistra che hanno impostato la recente campagna elettorale sull’antifascismo i brigatisti hanno ripreso fiato.
Giusto il 16 marzo nel giorno in cui ricorre il 40° anniversario della strage di Via Fani la bierre Balzerani ha presentato un libro nel Cpa di Firenze, Centro popolare autogestito. Il Cpa da febbraio 1989 occupa abusivamente la ex scuola materna Grifeo, il cui logo è un pugno chiuso con la scritta “La lotta è l’unica via – solidarietà”.
Non soddisfatta del cinismo e della mancanza totale di rispetto per le vittime della strage rossa, la Balzerani dichiara sprezzante “C’è una figura, la vittima, che è diventato un mestiere, questa figura stramba per cui la vittima ha il monopolio della parola.
Io non dico che non abbiano diritto a dire la loro, figuriamoci. Ma non ce l’hai solo te il diritto, non è che la storia la puoi fare solo te”.
A parere della Treccani la “vittima” è “Chi perisce in una sciagura, in una calamità,in seguito a gravi eventi o situazioni; chi soccombe all’altrui inganno e prepotenza, subendo una sopraffazione, un danno, o venendo comunque perseguitato e oppresso”. La Balzerani e le centinaia di compagni e compagne che negli anni Settanta e Ottanta hanno seminato morte, sangue e dolori a ritmo industriale in un altro Paese sarebbero stati messi a tacere, gli sarebbe stato proibito di salire in cattedra e di impartire lezioni di vita.
In Italia dove la sinistra en cachemire continua a gestire porzioni importanti di potere è ampiamente concesso.
Uno dei pochi ad esternare il proprio pensiero in maniera netta e decisa è stato Franco Gabrielli, ecco quanto ha dichiarato il capo della Polizia: “Riproporre ex terroristi in asettici studi televisivi come se stessero discettando della quinta essenza della verità rivelata credo sia un oltraggio per tutti noi e soprattutto per chi ha dato la vita e il sangue per questo Paese. Questi signori erano delinquenti due volte perché non solo uccidevano, rapinavano, privavano gli affetti familiari, ma cercavano in una logica di morte di sovvertire le istituzioni democratiche del Paese”.
Altra voce in questo assurdo silenzio politico è quella della figlia dello statista. Maria Fida Moro è la primogenita dell’ex premier assassinato dalle br, non poteva ascoltare e non rispondere ed anche lei lo ha fatto senza giri di parole. “Prendo atto della sua inconsulta dichiarazione. Avrei immaginato che avrebbe risposto con il silenzio, che è d’oro. Negli ultimi quarant’anni mentre io mi arrampicavo sugli specchi per mantenere mio figlio, voi ve la siete goduta senza fatica, senza dolore e senza merito. Io sono quella del perdono nei vostri confronti, che mi è costato un baule di parolacce e minacce di morte, compresa la carta igienica sporca inviata per posta. Altri hanno trasformato in mestiere ed in una lucrosa fonte di reddito il nostro dolore.
Detesto anche solo l’idea del mestiere di vittima, che ho sempre rifiutato. Sono andata in giro gratis attraverso l’Italia per portare un messaggio di pace amorevole. Nonostante.
Se c’è qualcuno che ha trasformato in mestiere una morte totalmente ingiusta siete voi, portati in palma di mano, da gente vile e meschina. È paradossale che viviate da allora a braccetto con il sistema che dicevate di voler combattere. Sarà molto triste per lei sentire nel cuore il dolore che ha provocato, cosa che prima o poi succederà. Non le chiedo neppure più di fare silenzio. Parli ancora e ancora, così tutti si renderanno conto finalmente di chi siete realmente. L’unico di voi che ancora stimo è Marco Donat Cattin, che proprio come me voleva essere cancellato dalla vita e che è morto tragicamente una notte, cercando di soccorrere delle persone in autostrada”.
Maria Fida Moro ha poi pubblicato un video titolato “Adesso basta” nel quale è ancora più esplicita nella sua convinzione: “Che palle il quarantennale lo dico io, non i brigatisti. E non Barbara Balzerani. Loro dovrebbero starsene zitti. Io posso lamentarmi del quarantennale. Io che non l’ho provocato ma che l’ho subito. E ho il titolo per dirlo. Anche solo per la semplice ragione che mi dà dolore. Ma la signora Barbara Balzerani non può dirlo perché lei è tra coloro che l’hanno provocato. E, quindi, si tiene i risultati di quanto messo in atto”.
Sono centinaia e centinaia le persone oltre a Maria Fida Moro che hanno titolo e voce per zittire brigatisti, assassini con la bandiera rossa e assassini con la bandiera nera, nel ventennio più triste della nostra Repubblica.
Bruno Galante
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