Da Vinitaly l’attesa conferma della supremazia italiana
Se i cugini francesi ci hanno tolto lo scettro di primi esportatori verso il primo mercato importatore al mondo, quegli Stati Uniti che insieme a Cina e Gran Bretagna rappresentano i primi tre mercati di importazione al mondo, noi ci consoliamo leggendo i dati del nostro export del 2017.
Siamo una consolidata realtà mondiale con enormi margini di crescita, peccato che si cresce maggiormente nella qualità della vigna e nella cantina piuttosto che nel valore dei mercati.
Saranno questi tra gli aspetti maggiori sui quali si concentreranno gli approfondimenti del prossimo Vinitaly 52.
La nostra ridotta competitività sui mercati globali deriva da azioni di marketing e promozione deboli e mai sinergiche.
È stato parecchio esplicito Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere, il quale ha dichiarato: “Il nostro export rimane pericolosamente ancorato ai primi tre Paesi di sbocco
(Stati Uniti, Germania e Gran Bretagna), dove si registra un indice di concentrazione delle nostre vendite del 53,4% a differenza di Francia e Spagna le quali nello stesso indice si fermano rispettivamente al 38,5% e al 35,2%”.
Numeri sui quali occorre riflettere e intervenire.
È necessario non cullarsi sui risultati conseguiti e allargare gli orizzonti delle esportazioni.
Se per la Francia e l’Italia gli Stati Uniti da anni sono il mercato principale, sono i mercati asiatici quelli che crescono ed hanno ingranato una marcia in più a differenza dei partner europei che evidenziano rallentamenti e frenate.
I nostri produttori collocano in Europa oltre il 50% del commercio vinicolo, con 3 miliardi di euro, mentre i francesi collocano nel nostro continente il 41% della produzione.
I cugini vignaioli sono divenuti leader incontrastati in Asia ove spediscono il 27% delle vendite, ed incassano 2,45 miliardi di euro, a differenza degli italiani che a malapena arrivano al 7% con 419 milioni di euro.
Su questi dati è indispensabile una ponderata riflessione per comprendere gli errori commessi, le strategie inefficienti attuate ma innanzitutto per studiare e concretizzare nuovi interventi sinergici.
Sino al giorno in cui non si comprenderà appieno che ogni qual volta si valicano le Alpi bisogna presentarsi compatti e preparati si proseguirà a concedere terreno e spazio a francesi, spagnoli, cileni, australiani e tutti gli altri.
I nostri produttori hanno necessità di essere supportati adeguatamente dalla classe politica e dal mondo della finanza.
Veronafiere si è sempre adoperata per rafforzare il Made in Italy, la 52ma edizione di Vinitaly, con 130mila operatori e con buyer esteri provenienti da oltre 140 Paesi è una delle vetrine più importanti del pianeta.
Sulla identica lunghezza è il pensiero di Ernesto Abbona, presidente di Unione Italiana Vini: “Soddisfacenti ma non vincenti. I dati ci consegnano un anno complesso per il settore che ha ritrovato un’ottima spinta nel mercato interno però ha sofferto in competitività per quel che concerne l’export, dove siamo stati rallentati e penalizzati da un sistema burocratico e amministrativo che ha causato la nostra perdita di leadership negli Stati Uniti. Il 2018 rappresenta una nuova sfida che siamo pronti a cogliere e affrontare per compiere un nuovo salto di qualità. Dobbiamo essere sempre attenti ad intercettare i nuovi trend di consumo, a fare opera quotidiana di scouting e utilizzare al meglio i fondi messi a disposizione dai piani di promozione del Mise – Ice e quelli dell’Ocm. Bisogna anche cominciare a ragionare in maniera nuova anche nella struttura della nostra offerta, trovando innovative forme di dialogo e sintesi tra brand e territori, superando le logiche di confine amministrativo tra territori e regioni, come pure le dinamiche verticali di filiera che ci consentano quella elasticità produttiva indispensabile a rispondere alle istanze di un mercato in continua evoluzione”.
Bruno Galante
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