L’economia a passo di lumaca e il carico fiscale al 60%
Il rallentamento della produzione industriale registrato a febbraio arriva dopo una alternanza di dati positivi e negativi, ed è la prova di una ripresa a singhiozzo, che va avanti ormai da oltre un anno, e ci avvicina al rischio di una lunga stagnazione.
La nostra economia, fiaccata da una crisi internazionale violentissima e da una lunga recessione interna, non riesce a imboccare il sentiero di una ripresa stabile e forte.
Ci sarebbe bisogno di misure incisive e di un mix di riforme, specie in campo fiscale, per dare alle micro, piccole e medie imprese del nostro Paese la spinta decisiva per investire e creare occupazione.
È quanto si può dedurre dopo che sono stati diffusi i dati Istat secondo i quali a febbraio 2018, la produzione industriale cala dello 0,5% rispetto a gennaio e aumenta del 2,5% su quelli di febbraio 2017.
Nel mentre l’economia procede a passo di lumaca è già trascorso oltre un mese dalle consultazioni politiche ed ancora non si intravede una soluzione per la composizione del nuovo governo e di una nuova maggioranza parlamentare.
Serve una rivoluzione, il carico fiscale supera il 60%, se si intende superare la crisi positivamente e in tempi brevi.
Tre aliquote per l’imposta sui redditi delle persone fisiche con una no tax area fino a 10.000 euro: 25% fino a 50.000 euro, 37% fino a 200.000 euro e 45% oltre 200.000 euro.
Tassazione dei dividendi percepiti da società di persone e società a responsabilità limitata con una imposta sostitutiva al 10%.
E ancora: Iva al 19% secondo la media praticata nell’Unione europea con una fascia di esenzione totale fino a 50.000 euro di fatturato.
Per le aziende con volume d’affari fino a 300.000 euro una tassa secca al 5% per chi ha dipendenti a tempo determinato e al 3% per quelle che hanno lavoratori a tempo indeterminato; il prelievo ordinario andrebbe poi fissato con una aliquota flat al 20%, ma con diversificazioni secondo la propensione a fare investimenti e assunzioni.
Queste le principali indicazioni in campo tributario, in vista della definizione del quadro politico ministeriale, secondo le quali quale va modificato il sistema di imposizione delle attività basate sul commercio via web, parte di soggetti stranieri, con tassazione dei redditi calcolati con il criterio previsto per la stabile organizzazione e per le vendite che avvengono nell’ambito del paese.
Serve una rivoluzione fiscale perché abbiamo un carico di balzelli sia in termini di esborso di denaro sia in termini di adempimenti che non è più sopportabile.
L’Iva al 22% e il carico complessivo delle imposte che in termini reali supera quota 60% sono fuori delle medie europee e mondiali oltre che contrari a una logica di sviluppo.
Si parla di un esecutivo sulla base di un contratto e allora vogliamo provare a suggerire le misure più importanti per le imprese in campo fiscale.
Nell’ambito della tassazione d’impresa, l’Irap è oggetto di grande attenzione.
Il calcolo dell’imposta regionale sulle attività produttive nella sostanza colpisce, oltre agli utili, anche alcuni costi indeducibili; ciò con un significativo incremento del tax rate, soprattutto per le pmi che ricorrono ai finanziamenti bancari.
Di qui la necessità di rivedere i meccanismi volti alla creazione della base imponibile, restringendola significativamente.
Nel campo della riscossione, serve un patto di rientro dei pagamenti coi tempi necessari, calibrati sulla realistica disponibilità del contribuente, e la stipula di accordi convenzionati, a tasso zero, con le banche, qualora ci fosse necessità di liquidità.
Inoltre vanno rafforzati gli incentivi fiscali per la ricerca e per l’internazionalizzazione: strumenti di aiuto alle aziende da indirizzare soprattutto alle micro e piccole imprese, le più penalizzate per le loro capacità finanziarie e strutturale.
Tra le idee, agevolazioni e incentivi specifici per i raggruppamenti di pmi, accompagnati dall’introduzione di strumenti a basso costo di controllo sugli investimenti (come perizie e due diligence).
Quanto all’internazionalizzazione andrebbero abrogate le norme “presuntive” che costituiscono un ostacolo alla delocalizzazione di aziende italiane all’estero (exit tax, esterovestizione, transfer price).
Infine sarebbe utile estendere l’agevolazione della “branch exemption”, che riguarda solo le multinazionali, anche alle piccole imprese e micro imprese, allargandola alle newco costituite all’estero, purché controllate dalla società-madre italiana.
Claudia Treves
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