Pagamenti in contante per agevolare il nero e il losco
In Italia il bancomat fa la sua prima apparizione il 23 novembre 1983 – in Inghilterra era comparso a giugno 1967 – e viene chiamata carta di debito, serve solo per prelevare contanti da quegli sportelli bancari che si erano dotati dei macchinari appositi.
Sono una rarità e quasi uno status symbol. Oggi circolano sul territorio nazionale oltre 37 milioni di carte Bancomat e PagoBancomat, con 842 milioni di prelievi annui e 1,4 miliardi di euro di pagamenti nei vari negozi.
Da anni è in atto una campagna di sensibilizzazione all’utilizzo del bancomat ma i risultati non sono granché soddisfacenti.
Sono serviti a poco anche le recenti innovazioni tecnologiche che hanno reso più pratici e intuitivi i pagamenti elettronici, tra carte contactless e app per gli smartphone.
Gli italiani rimangono incollati al contante. L’86 percento della spesa quotidiana avviene con banconote e monete, percentuale che ci relega al terz’ultimo posto nella graduatoria continentale per quota di pagamenti elettronici.
La media europea per l’uso del bancomat, carte di credito e altri strumenti moderni si attesta intorno al 74 percento.
Non è un caso che sull’ultimo gradino si siede la Grecia, ovvero l’economia più flagellata della zona euro.
Grecia e Italia in numerose classifiche occupano le posizioni di coda, oramai è divenuta una prassi.
Oramai è più che un sospetto che il mancato utilizzo di carte elettroniche sia un marcato sintomo di salute precaria e di scarsa efficienza di una nazione da G7 o G88 oppure G24.
Caso a parte è la Germania dove il poco utilizzo delle carte di pagamento e di prelievo è dovuto a paure ataviche che scaturiscono da inflazioni e casseforti di banche svuotate scientificamente.
Il think tank The European House – Ambrosetti ha creato tre anni fa una piattaforma per mettere a confronto istituzioni e aziende sull’evoluzione dei metodi di pagamento.
L’obiettivo è promuovere l’uso dei pagamenti elettronici.
Dentro a questa organizzazione, chiamata Community Cashless Society (cioè Comunità per una società senza contante) ci sono nomi pesanti, come Intesa Sanpaolo, Poste Italiana,Visa, Mastercard, Sia.
Tra il 2008 e il 2017 il contante in circolazione in Italia è passato da 127,9 a 197,7 miliardi di euro, con un aumento del 3,8% solo l’anno scorso. Il valore delle banconote e delle monete in circolazione è passato nel decennio dall’8,1% all’11,6% del prodotto interno lordo (anche in questo caso uno dei livelli più elevati d’Europa).
Nello stesso periodo la quantità di denaro prelevato agli sportelli bancomat è aumentato dell’8,9% all’anno, fino a raggiungere i 193,6 miliardi di euro.
Davanti a questi numeri si ridimensionano molto i dati che mostrano la significativa crescita parallela anche dei pagamenti elettronici, saliti del 5,4% in media all’anno dal 2008 in poi, fino ai 177,8 miliardi di euro del 2016.
Con 43,1 acquisti annui con carte di pagamento l’italiano medio resta comunque nel gruppo dei grandi scettici europei sulle tecnologie di pagamento.
La Community coinvolge molte delle aziende attive nelle tecnologie di pagamento ed è quindi una piattaforma anche “di parte”, ma la riduzione nell’uso dei contanti offre diversi vantaggi oggettivi.
Non è un mistero che il mondo dei pagamenti in contanti sia l’ambiente più tranquillo per gli evasori fiscali che offrono sconti in cambio di pagamenti in nero.
Secondo le stime dell’osservatorio di Ambrosetti, allineandosi alla media europea dei pagamenti elettronici l’Italia potrebbe fare emergere 40 miliardi di attività “sommerse” e 4 miliardi di euro di gettito Iva.
A questo vantaggio per le casse pubbliche, si aggiunge il risparmio sui costi di gestione del denaro, stimati in 10 miliardi di euro l’anno che si ridurrebbero a 8,5 sempre nel caso che il nostro Paese si allineasse alla media europea.
Lo sviluppo dei pagamenti elettronici potrebbe, inoltre, favorire un incremento dei consumi e lo sviluppo di startup nel settore della finanza tecnologica.
La Community fa notare che tutti i paesi più «cashless» hanno definito una loro strategia nazionale sui pagamenti elettronici, mentre l’Italia non lo ha mai fatto.
Anzi, con la legge di stabilità del 2016 i limiti all’uso dei contanti sono stati riportati a 3mila euro rispetto ai mille a cui erano stati ridotti nel 2011 dal governo Monti, e senza apparenti risultati positivi sull’andamento dei consumi.
Un primo passo potrebbe consistere nella realizzazione di un patto nazionale tra le aziende che si occupano di pagamenti e gli esercenti in settori strategici ad alto incasso come i supermercati e le stazioni di rifornimento, dove in media gli acquisti in contante sono tra il 70 e il 75% del totale.
In questi settori si potrebbe partire con incentivi e sconti per pagamenti elettronici, magari con il coordinamento del governo.
Ma il potere che esercitano le lobby che tutelano i pagamenti cash è sin troppo energico.
Niccolò Rejetti
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