Cancellata la libertà di informazione in Turchia
Recep Tayyp Erdogan come la stragrande maggioranza dei dittatori usa due pesi e due misure. Entro i propri confini manganelli rinforzati per quanti gli sono contro non appena è fuori dalla Turchia si mostra pacifico e sorridente.
Lo abbiamo rivisto il 5 febbraio scorso allorquando la mattina è andato in udienza da Papa Francesco per oltre 50 minuti, il doppio del tempo che il Pontefice usualmente concedei ai capi di Stato, per affrontare la questione dei migranti, delle condizioni di terrore in cui vive la piccola comunità cristiana in Turchia, tralasciando la questione spinosa dei curdi.
Successivamente aveva incontrato il Presidente Mattarella e l’ex ministro Angelino Alfano per un pranzo di lavoro per poi spostarsi a Palazzo Chigi dove l’attendeva Paolo Gentiloni ed un picchetto d’onore.
Sempre pacifico e sorridente.
Trascorrono pochi giorni ed il 16 febbraio vengono condannati all’ergastolo sei giornalisti con l’accusa di aver cercato di sovvertire l’ordine costituzionale durante il golpe farsa del luglio 2016.
Sempre per quel golpe farsa sono tuttora dietro le sbarre 51 mila persone con la stessa accusa.
Il primo marzo 38 premi Nobel gli inviano una lettera nella quale chiedono libertà di espressione dopo quella assurda condanna “al fine pena mai”. Nella parte finale della missiva i Nobel scrivono “Chiediamo l’abrogazione dello stato di emergenza, un rapido ritorno alla legalità e la piena libertà di parola e di espressione”. La lettera viene cestinata prima ancora di essere letta.
Il 26 aprile i giudici musulmani turchi esprimono l’ennesimo verdetto di condanna, è il processo che vede coinvolti i giornalisti del quotidiano Cumhuriyet (Repubblica, ndr), fondato nel 1924 ed è il più antico quotidiano turco.
Tredici condanne dai 7 mesi ai 10 anni. Tre assoluzioni, per Bülent Yener, Günseli Ozaltay e Turhan Günay, mentre per l’ex direttore Can Dundar e per il redattore Ilhan Tanir è stato disposto lo stralcio e saranno giudicati da un’altra Corte.
Questo l’epilogo del processo ai lavoratori di quello che era il più importante quotidiano d’opposizione turco, giornalisti, impiegati e dirigenti, molti dei quali costretti in detenzione preventiva da mesi e gradualmente rimessi in libertà nel corso del dibattimento.
La sentenza era attesa per venerdì 27 aprile, ma i giudici riuniti nell’aula del penitenziario di Silivri, a nord di Istanbul, hanno preferito accelerare.
Condanne a 8 anni e 2 mesi sono state inflitte ad Akin Atalay, l’amministratore delegato del quotidiano, rimesso in libertà dopo 541 giorni in attesa che la sua posizione sia discussa in una prossima udienza; 6 anni e 3 mesi per Orhan Erinc; 4 anni e 6 mesi per Bulent Utku; 7 anni e 6 mesi per Murat Sabuncu, il direttore subentrato a Dundar che si trova in esilio in Germania; 2 anni e 6 mesi a Kadri Gursel; 3 anni e 9 mesi a Guray Oz; 3 anni e 9 mesi a Onder Celik. Sono tutti giornalisti.
3 anni e 9 mesi al vignettista Musa Kart e per i manager Hakan Kara e Mustafa Kemal Gungor; 3 anni e 1 mese al commercialista del giornale Emre Iper; 7 anni e 6 mesi ad Aydin Engin e 6 anni e 3 mesi a Hikmet Cetinkaya, entrambi editorialisti; 7 anni e 6 mesi ad Ahmet Sik, giornalista investigativo e principale imputato.
“La sentenza di ieri ai danni dei lavoratori del quotidiano Cumhuriyet segna la sostanziale abrogazione della libertà di informazione in Turchia, come raccontato dalla collega Antonella Napoli che ha assistito al processo per conto di Articolo 21, le condanne inflitte ai giornalisti fanno venir meno tutte le garanzie dello Stato di diritto”, così hanno commentato il segretario generale e il presidente della Fderazione Nazionale della Stampa Italiana, Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti.
Ecco quanto ha scritto, tra l’altro, Antonella Napoli: “Si è trattato di un processo farsa, senza prove, basato solo sulla linea editoriale di Cumhuriyet. È apparso chiaro da subito che sotto accusa ci fosse l’informazione. Le imputazioni di terrorismo erano, sono e restano ridicole.
Ahmet Sik, Murat Subuncu, Akim Atalay e gli altri 15 imputati rappresentano la storia di una testata che dal 1924 è sopravvissuta a cinque colpi di Stato e ha continuato a dare notizie scomode anche sotto i regimi militari. In passato, molti dei suoi giornalisti sono stati imprigionati, torturati o vittime di assassini politici.
Mai prima d’ora si era vista una così intensa volontà di eliminare completamente Cumhuriyet”.
Questa l’ultimo atto della sentenza di primo grado.
Così conclude Antonella Napoli “si tratta di un attacco contro il più longevo giornale della Turchia, un attacco puramente politico, seppur per via giudiziaria, un assalto diretto alla libertà di stampa e al diritto che nessun paese democratico può accettare. Dopo le condanne all’ergastolo di sei giornalisti, tra cui i fratelli Mehmet e Ahmet Altan, la dura sentenza che di fatto infligge un colpo mortale a Cumhuriyet conferma che lo Stato di diritto in Turchia è morto. Ed è per questo che opra più che mai bisogna supportare quel che resta della stampa libera turca”.
A Bruxelles qualcuno è favorevole all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea, sarebbe più vantaggioso per tutti se costoro si trasferissero in Turchia.
la Redazione
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