Il nuovo governo deve bloccare l’aumento dell’Iva
Se il prossimo esecutivo non riuscisse a sterilizzare l’aumento dell’Iva, nel corso del 2019 ogni famiglia italiana subirà un incremento medio di imposta pari a 242 euro.
Nel dettaglio, tale rincaro sarà pari a 284 euro per famiglia al Nord, a 234 euro nel Centro e a 199 euro nel Mezzogiorno.
A questo risultato è giunto l’Ufficio studi della CGIA che, attraverso una simulazione di carattere teorico, ha dimensionato gli effetti economici che graveranno sulle famiglie dal prossimo 1° gennaio.
Infatti, se non verranno recuperati entro la fine di quest’anno 12,4 miliardi di euro, l’aliquota ordinaria passerà dal 22 al 24,2 per cento, mentre quella ridotta dal 10 salirà all’11,5 per cento.
Secondo il parere di Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, bisogna assolutamente evitare l’aumento dell’Iva.
Non solo perché colpirebbe in particolar modo le famiglie meno abbienti e quelle più numerose, ma anche perché il ritocco all’insù delle aliquote avrebbe un effetto recessivo per la nostra economia.
Serve ricordare, infatti, che il 60 per cento del Pil nazionale è riconducibile ai consumi delle famiglie.
Se l’Iva dovesse salire ai livelli record previsti, per le botteghe artigiane e i piccoli commercianti sarebbe un danno enorme, visto che la stragrande maggioranza dei rispettivi fatturati è attribuibile alla domanda interna.
Non solo. Se non verrà disinnescato l’aumento, dal 2019 l’Italia sarà il Paese con l’aliquota Iva ordinaria più elevata dell’area dell’Euro. Dall’attuale 22 per cento, infatti, si passerà al 24,2 per cento.
Questo balzo ci consentirebbe di scavalcare tutti e di posizionarci in testa alla classifica dei più tartassati dalle imposte indirette.
Dalla sua apparizione ad oggi, prosegue la CGIA, sono trascorsi 45 anni. L’aliquota ordinaria dell’Iva, infatti, è stata introdotta per la prima volta nel 1973 e fino a quest’anno è aumentata 9 volte.
Tra i principali Paesi della zona euro siamo quello in cui è cresciuta di più: ben 10 punti, un record, ovviamente, che nessuno ci invidia. Se nel 1973 l’aliquota era al 12 per cento, ora si attesta al 22 per cento, con un aumento di ben 10 punti.
Seguono la Germania, con una variazione di +8 punti (era all’11 adesso si attesta al 19 percento), l’Olanda ha registrato un aumento di 5 punti (era al 16 oggi è al 21 per cento), l’Austria e il Belgio, con degli incrementi accusati nel periodo preso in esame rispettivamente del +4 % e del +3%.
La Francia è l’unico Paese presente in questa comparazione che non ha subito alcuna lievitazione.
Se è vero che in questi 45 anni abbiamo subito l’incremento d’aliquota più significativo, è altresì vero che nel 1973 quella applicata in Italia era, ad esclusione della Germania, la più contenuta.
Tuttavia, se l’aumento previsto non sarà ulteriormente spostato in avanti, dal 2019 i consumatori italiani saranno sottoposti all’aliquota Iva ordinaria più elevata tra tutti i Paesi dell’area dell’euro, con un serio rischio che l’economia sommersa assuma dimensioni ancor più preoccupanti.
La CGIA, infine, ha elencato i beni e servizi che saranno interessati dall’eventuale aumento dell’aliquota IVA dal 10 al 11,5 per cento.
Essi sono:
carni, pesce, spezie, cacao, prodotti della pasticceria e biscotteria, cioccolato, salse, condimenti composti, preparati per zuppe e minestroni, acqua minerale, aceto; legna da ardere in tondelli, ceppi, etc.; energia elettrica per uso domestico; gas metano uso domestico (limitatamente al consumo dei primi 480 metri cubi annui); prestazioni alberghiere; ristrutturazioni edilizie; acquisto o costruzione abitazione non di lusso (che non sia utilizzata come prima casa); spettacoli teatrali, attività circensi; somministrazione alimenti e bevande; piante e fiori.
E quelli che, eventualmente,vedranno salire l’aliquota dal 22 al 24,2 percento:
vino; abbigliamento; calzature; riparazione di abbigliamento e calzature; elettrodomestici; mobili; articoli di arredamento; biancheria per la casa; servizi domestici; riparazione di mobili, elettrodomestici e biancheria;
detersivi; pentole, posate e stoviglie; tovaglioli e piatti di carte e contenitori di alluminio; lavanderia e tintoria;
auto e mezzi di trasporto; pezzi di ricambio, olio e lubrificanti; manutenzioni e riparazioni; giochi e giocattoli;
radio, televisori, hi-fi, video-registratori, etc.; computer, macchine da scrivere e calcolatrici; cancelleria; prodotti per cura personale; barbiere, parrucchiere, istituti di bellezza; argenteria, gioielleria, bigiotteria e orologi; borse, valige ed altri effetti personali; onorari liberi professionisti.
Nonostante questa incombente spada di damocle sono trascorsi oltre due mesi abbondanti dalle consultazioni elettorali ed i parlamentari ancora non hanno raggiunto un accordo per la costituzione di un governo che affronti queste e tante altre problematiche che attanagliano la quotidianità di milioni di italiani.
Eppure i loro lautissimi stipendi con relativi bonus e privilegi li hanno percepiti seppure siano rimasti a braccia conserte.
Riccardo Dinoves
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