La Juve è una fiaba, è la storia, è una leggenda: sono 36
Sette tricolori di fila non li aveva cuciti neppure il Toro degli Invincibili e prima di Valentino Mazzola e Franco Ossola non ci era riuscita nemmeno la corazzata bianconera 1931-35 capitanata da Virgilio Rosetta con al fianco uno stuolo di atleti che consentirono all’Italia di fregiarsi dei primi due titoli mondiali.
Atleti possenti e sorridenti registrati all’anagrafe come Giampiero Combi, Umberto Calligaris, Luis Monti, Raimundo Orsi, Giuanin Ferrari, i fratelli Mario e Giovanni Varglien, e tutti gli altri guidati da Carlo Carcano.
La Juve i sette scudetti li ha vinti ancor prima risorgendo dalle ceneri nelle quali l’avevano scaraventata ignobilmente nel tentativo e nella speranza di farla scomparire dagli annali calcistici, allorquando il signor Guido Rossi, senatore pci-dirigente interista-commissario Figc, il 16 maggio 2006 a Roma fu incaricato di scrivere il libretto della farsa “Calciopoli”.
Da buon nerazzurro omaggiò uno scudetto al club dei Moratti e ne tolse due a quello degli Agnelli. Si dimise non appena l’operazione andò in porto, era il 18 settembre 2006. Fu abbastanza celere e decisionista, in 124 giorni scalfì l’immagine di una società secolare che aveva contribuito in maniera massiccia a dare lustro e titoli alla Nazionale.
Se sul petto degli azzurri vi sono quattro stelle gran parte del merito è di quella società che il signor Rossi, con uno stuolo di complici e di servi, ha infangato.
Post fata resurgo (dopo la morte risorgo, ndr), e come tutte le nobili fenici che meritano rispetto, la società di Corso Galileo Ferraris si è ristrutturata ponendo sull’uscio gli incapaci e i privi di colonna vertebrale bianconera.
Sul ponte di comando si è posizionato un giovanotto della stirpe docg e la Zebra ha ripreso a navigare per mari ed oceani.
La regola imposta è quella di rigare diritti senza lagni e senza lamenti, le eccezioni ci sono e quando ci vogliono ci vogliono.
Il rampollo della stirpe si circonda di persone volenterose e capaci che conoscono l’ambiente, lo spogliatoio e il rettangolo verde, che sanno utilizzare il bastone e la carota al momento giusto.
Col trascorrere dei giorni la Juventus Football Club si trasforma in azienda che necessita di incrementare gli utili e i bilanci per adeguarsi al top europeo, d’altronde se si persegue l’obiettivo di mettersi alla pari di Real, Barca, Bayern, United e pochissime altre è indispensabile possedere un portafoglio rigonfio perché i campioni e i fuoriclasse non viaggiano in 500 e si spostano solo se l’offerta è con parecchi zeri.
Andrea Agnelli viene eletto presidente il 19 maggio 2010 e nel campionato 2010-2011 si posiziona al 7° posto, da quello successivo sulla panca chiama l’ex capitano Antonio Conte e la squadra diventa un rullo compressore
che stabilisce record a ritmi industriali annientando la concorrenza e con zero voglia di fermarsi.
Gli avversari non potendo contrastare sul campo i bianconeri di volta in volta si aggrappano agli specchi degli arbitri, agli orari, al colore dei calzettoni, al campo bagnato e sciocchezzuole del genere, non avendo la capacità di riconoscere i propri limiti ed i propri errori tirano in ballo la volpe e l’uva di esopiana memoria.
Potrebbe anche essere possibile che un aiutino o una leggerezza arbitrale a favore dei bianconeri venga elargito, ma è da sciocchi e da incompetenti ipotizzare che sette scudetti e quattro Coppa Italia di fila una dietro l’altra siano dovute al fato o agli ammiccamenti dell’Aia.
Considerando che spesso e quasi tutti i club nazionali concentrano le loro energie esclusivamente sul campionato a differenza della Juve che non conosce riposo infrasettimanale da agosto a giugno, è fuori da ogni logica e buon senso etichettare il club più amato d’Italia come quello che vince esclusivamente grazie ai direttori di gara. Così ragionano gli gnomi.
La verità potrebbe essere un’altra. Le partite ed i campionati si vincono sul campo e gli attori protagonisti sono gli undici che vengono schierati dal mister, ma se alle spalle della formazione non vi è una società solida, organizzata e lungimirante i giocatori si afflosciano alla prima bufera.
In Corso Galileo Ferraris dietro le scrivanie vi è gente con alta professionalità che cura il mosaico in ogni minimo particolare, che guarda al presente ma che programma il futuro con lungimiranza perché a Torino con largo anticipo hanno compreso che senza uno stadio di proprietà si rimane nelle retrovie internazionali.
Perché uno stadio di proprietà agevola gli investimenti e consente di badare con profitto al vivaio e da domani anche al settore femminile. Sì, perché la Juventus Women già al primo anno di iscrizione è arrivata in vetta alla classifica insieme al Brescia Calcio Femminile e disputerà lo spareggio per il titolo nazionale.
Il calcio è uno sport anomalo che vive di passione, di tradizioni, di sacrifici come pure di economia e finanza.
Non è un caso se quasi tutti i club importanti che hanno scritto le pagine più significative della storia calcistica nazionale oggi sono finiti nelle mani di investitori arabi, americani o cinesi che guardano principalmente i bilanci e gli utili e non il sudore e il colore delle maglie.
Se la Juve ha dominato in maniera incontrastata per un settennio, e lo farà ancora per chissà quanto, è perché Buffon, Chiellini, Barzagli, Marchisio, Dybala, Higuain, Lichtsteiner, Douglas Costa, Bernardeschi e tutti gli altri, quando scendono in campo si pongono un unico obiettivo: vincere.
Vincere per la società, vincere per i milioni di tifosi che li seguono, vincere per loro stessi.
È la differenza abissale che contraddistingue la Juve dagli altri club italiani, sotto la Mole vincere è un imperativo categorico. Non esistono alternative.
È vero che in Europa i risultati non sono altrettanto esaltanti, si tratta, però, di colmare il gap finale economico-politico che consentirà di entrare in pianta stabile nella ristrettissima élite continentale.
Non manca molto, serve ancora qualche piccolo tassello.
Per ora godiamoci il settimo scudetto consecutivo e la quarta Coppa dell’era Maximilian Allegri.
Ancora quattro titoli e poi cuciamo la quarta stella. Grazie ragazzi.
Bruno Galante
Commenti
La Juve è una fiaba, è la storia, è una leggenda: sono 36 — Nessun commento
HTML tags allowed in your comment: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>