Bloccano le tasse locali ma aumentano le tariffe dei servizi
Sebbene dal 2015 le Regioni e gli enti locali non possano più aumentare le tasse locali (come l’Imu, la Tasi, le addizionali Irpef, l’addizionale regionale Irap, etc.), per le tasche degli italiani le cose non sono migliorate.
Anzi, in alcuni casi la situazione è addirittura peggiorata, visto che in questi ultimi 3 anni le tariffe dei servizi pubblici erogati dagli enti locali sono aumentate del 5,6 per cento, vale a dire oltre 3 volte la crescita dell’inflazione.
In sostanza se i pubblici amministratori non frugano nelle tasche dei contribuenti con la mano destra lo fanno con quella destra, se non lo fanno dai palazzi ministeriali lo fanno dai Palazzi di Città.
Con lo stop agli aumenti della tasse locali molti amministratori periferici hanno continuato ad alimentare le proprie entrate agendo sulla leva tariffaria, incrementando le bollette della raccolta dei rifiuti, dell’acqua, le rette degli asili, delle mense e i biglietti del bus.
E tutto ciò, senza gravare sul carico fiscale generale, visto che i rincari delle tariffe, a differenza degli aumenti delle tasse locali, non concorrono ad appesantire la nostra pressione fiscale, anche se in modo altrettanto fastidioso contribuiscono ad alleggerire i portafogli di tutti noi.
Tra il 2015 e i primi 4 mesi di quest’anno, infatti, le principali tariffe amministrative applicate dai comuni (certificati di nascita, matrimonio/morte) sono aumentate dell’88,3 percento.
Quelle applicate dalle società controllate da questi enti territoriali per la fornitura dell’acqua, invece, hanno subito un incremento del 13,9 per cento, quelle della scuola dell’infanzia del 5,1 percento, le mense scolastiche del 4,5 percento, il trasporto urbano del 2 percento e i rifiuti dell’1,7 percento.
L’inflazione, invece, sempre in questo periodo è salita solo dell’1,7 percento. Le retribuzioni e gli stipendi, al contrario, sono rimasti pressoché gli stessi, tranne rarissime eccezioni.
Sebbene da qualche anno ai Comuni siano stati alleggeriti i vincoli di bilancio grazie al superamento del Patto di stabilità interno e abbiano potuto contare su importanti aumenti tariffari, le risorse a disposizione dei sindaci risultano ancora insufficienti per rilanciare gli investimenti e le manutenzioni pubbliche.
Misure, queste ultime, che sono indispensabili per ridare fiato all’economia locale e, conseguentemente, al mondo delle piccole e medie imprese.
Dalla CGIA segnalano che con molte meno risorse a disposizione a seguito dei tagli ai trasferimenti, i sindaci e i governatori, almeno fino al 2015, hanno reagito agendo sulla leva fiscale. Successivamente, come dicevamo più sopra, grazie al blocco delle tasse locali imposto dal Governo Renzi, molti amministratori si sono “difesi” (a modo e consuetudine loro) rincarando le tariffe e/o riducendo e peggiorando la qualità e la quantità dei servizi offerti ai cittadini.
E a conferma della bassa qualità dei servizi pubblici offerti dalla nostra pubblica amministrazione ci sono di supporto anche i risultati emersi da un’indagine elaborata l’anno scorso dall’Ue. Su 23 Paesi analizzati, l’Italia si colloca al 17° posto per livello di qualità della nostra Pubblica amministrazione.
Oltre ai dati medi nazionali, questa indagine consente di verificare anche le performance di ben 206 realtà territoriali.
Tra le migliori 30 regioni europee, purtroppo, non rileviamo nessuna amministrazione pubblica del nostro Paese. La prima, ovvero la Provincia autonoma di Trento, si colloca al 36° posto della classifica generale.
Successivamente troviamo la Provincia autonoma di Bolzano al 39°, la Valle d’Aosta al 72° e il Friuli Venezia Giulia al 98°.
Pesantissima la situazione che si verifica nel Meridione: ben 7 regioni del Mezzogiorno si collocano nelle ultime 30 posizioni: la Sardegna al 178° posto, la Basilicata al 182°, la Sicilia al 185°, la Puglia al 188°, il Molise al 191°, la Calabria al 193° e la Campania al 202° posto.
Solo Ege (Turchia), Yugozapaden (Bulgaria), Istanbul (Turchia) e Bati Anadolu (Turchia), presentano uno score peggiore della Pa campana. Napoli e tutta la regione hanno la peggiore qualità dei servizi pubblici del continente, una medaglia da non esibire.
Tra le realtà meno virtuose troviamo anche una regione del Centro, vale a dire il Lazio, che si piazza al 184° posto della graduatoria generale.
Anche l’Ocse, nel suo “Rapporto economico sull’Italia”del 2017, evidenzia che il cattivo funzionamento della pubblica amministrazione italiana ha degli effetti molto negativi sulle performance di chi fa impresa, sugli investimenti e sulla crescita della produttività.
L’Ocse, infatti, dimostra che la produttività media del lavoro delle imprese è più elevata nelle zone con una più efficiente amministrazione pubblica, sottolineando come nel Sud la situazione abbia raggiunto livelli di criticità molto preoccupanti. Tanti pubblici amministratori dovrebbero chiedersi un po’ più spesso come mai gli investitori stranieri sono riluttanti a spostare i loro capitali nella Penisola.
Piero Vernigo
Commenti
Bloccano le tasse locali ma aumentano le tariffe dei servizi — Nessun commento
HTML tags allowed in your comment: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>