Il riso italiano per l’Ue non dev’essere merce di scambio
Il presidente dell’Ente Nazionale Risi Paolo Carrà lunedì 4 giugno ha partecipato all’audizione di fronte alla Commissione agricoltura del Parlamento europeo sull’etichettatura d’origine. Il titolo del suo intervento era chiaro: “Il riso italiano non è una commodity”.
Innanzitutto, ha evidenziato la leadership produttiva dell’Italia in campo risicolo, con il 52,20% di produzione, che rappresenta lo 0,2% della produzione mondiale di questo cereale, che in Italia non è considerato una commodity.
“Le denominazioni di alcune varietà, come Carnaroli, Arborio e Vialone Nano – ha sottolineato infatti – costituiscono quasi dei marchi commerciali e sono un veicolo di promozione del made in Ue, perché, come ha potuto saggiare la Commissione europea, la produzione risicola italiana è ecosostenibile e fornisce al consumatore un prodotto salutare, mentre le importazioni di riso non soddisfano sempre questi requisiti».
Per contro, ha rilevato, non esistono garanzie di reciprocità, come ha rilevato il forum europeo del 23 gennaio scorso, dove il ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha chiesto, tra l’altro, che esista una efficace reciprocità di regole nell’utilizzo dei prodotti fitosanitari.
In particolare, ha detto il Presidente dell’Ente, il Basmati spesso contiene fungicidi vietati in Europa e tracce di ogm sono state riscontrate in risi d’importazione statunitensi.
Una buona risposta a questi problemi è rappresentata – ha aggiunto – dal marchio “Riso Italiano” che viene rilasciato dall’Ente Nazionale Risi.
Un altro aspetto toccato durante l’audizione è stato l’incremento delle importazioni (+50% quelle a dazio zero in dieci anni) che non soddisfa i presupposti della cooperazione per cui sono riconosciute le concessioni tariffarie: il 25% del riso importato proviene da paesi che non rispettano i diritti delle popolazioni locali.
Anche su questo punto, è stato ribadito, si è intervenuti con la richiesta di attivare la clausola di salvaguardia ai Paesi Meno Avanzati.
«Per queste ragioni gli agricoltori italiani invocano tutele contro l’Italia sounding» ha concluso, spiegando che la maggioranza del mondo agricolo ritiene che l’etichettatura d’origine obbligatoria possa valorizzare il riso italiano ed europeo e che l’industria risiera propende invece per l’etichettatura volontaria.
L’Ente Nazionale Risi ha organizzato un corso per operatori industriali, aperto anche agli agricoltori, di aggiornamento sulle strategie di marketing e sulla conoscenza tecnica di trasformazione.
Conoscere nel dettaglio la composizione della cariosside aiuta, e molto, chi lavora nell’industria risiera e deve valutare la qualità della materia prima conferita dall’agricoltore.
Ma, per la stessa ragione, conoscere i segreti più intimi di un chicco di riso aiuta, e molto, l’agricoltore che voglia capire il mercato.
Lo raccontano i partecipanti al corso per operatori dell’industria di trasformazione del riso, tenutosi il 23 e 24 maggio presso il Centro Ricerche sul Riso dell’Ente Nazionale Risi ed al quale non hanno partecipato solo dipendenti dell’industria, come Andrea Scardovi (Curtiriso) ma anche agricoltori come Nino Chiò (azienda Battioli).
I docenti del corso erano Filip Haxhari, Mauro Cormegna, Emiliano Greppi e Sergio Feccia, in una sinergia tra dipartimento di miglioramento genetico e laboratorio chimico merceologico dell’Ente.
Hanno illustrato ai partecipanti il primo giorno le caratteristiche morfologiche della pianta e del granello di riso, i parametri identificativi del granello di riso, una panoramica delle varietà di riso maggiormente coltivate, le caratteristiche generali delle varietà iscritte al Registro Nazionale con particolare attenzione a quelle di recente introduzione e la qualità del riso e gli aspetti commerciali, con una valutazione attraverso i principali test chimico-merceologici eseguiti in laboratorio.
Il secondo giorno si è parlato invece di: processo di lavorazione del riso; determinazione della resa alla lavorazione (globale, intero); resa alla lavorazione (Satake, Universale); principali difetti del riso e criteri di riconoscimento; analisi dei difetti e verifica della varietà; analisi dei difetti e il riconoscimento dei gruppi varietali.
Non sono mancate, ovviamente, le esercitazioni.
“Sicuramente il corso è stato interessante – racconta Scardovi – sia nella sezione dedicata alla storia dell’evoluzione del riso che in quella che ha condotto ad analizzare la struttura del prodotto. Per chi si occupa di qualità come me, conoscere approfonditamente le caratteristiche e la composizione del riso aiuta parecchio nella valutazione delle caratteristiche qualitative della materia prima che acquisiamo”.
Analogamente soddisfatto Nino Chiò, particolarmente per l’alto livello degli interventi: “Il corso ci ha permesso di cogliere tutte le sfaccettature delle nuove normative commerciali, dalla legge sul mercato interno ai grani gessati, per spingerci anche nel campo dei brevetti. Insomma, per chi lavora tutti i giorni nella coltivazione della pianta e concentra le proprie attenzioni verso la produzione, capire il mercato del prodotto trasformato significa anticiparlo, cioè non avere un ruolo passivo. Senza contare che per molti agricoltori impegnati nella trasformazione e nella vendita diretta del riso questi problemi sono già e diventeranno sempre di più delle sfide quotidiane”.
Piero Vernigo
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