Con la Brexit le startup rimarranno a Londra? E l’Italia?
Che il Regno Unito sia il Paese europeo più startup friendly è cosa nota. In questo senso, non stupiscono i dati raccolti da Mind the Bridge e Startup Europe Partnership e sul numero di scaleup europee.
In cinque settori (intelligenza artificiale, fintech, insurtech, industria 4.0 e digital construction) i dati raccolti dalla società di consulenza e dalla piattaforma per l’innovazione evidenziano come queste startup mature si concentrino soprattutto oltre Manica.
Dove, peraltro, è stata raccolta anche la quota maggiore di capitale.
Di fronte a questi numeri, restano però aperte due domande: cosa succederà con la Brexit?
Come si muovono il resto d’Europa in generale e l’Italia in particolare?
È sempre il Regno Unito a primeggiare. Unica eccezione, la percentuale di capitale raccolto dalle scaleup del segmento assicurativo.
In questo caso è la Svezia a primeggiare, con il 22,9% di raccolta sul totale dell’investito a livello europeo. Circostanza che pone un primo punto di attenzione: l’elevata quota di capitale raccolto non è di per sé indice di un ecosistema florido.
Nel caso specifico, buona parte di questi fondi li ha raccolti Bima, azienda svedese che si occupa di assicurazioni per persone a basso reddito.
Realtà che ha ottenuto finanziamenti per oltre 179 milioni di dollari. Dei quali 97 sono stati investiti nel dicembre scorso dal colosso delle assicurazioni Allianz.
Tornando al quadro generale: cosa succederà con la Brexit?
Se, come appare probabile, si chiuderà senza un accordo, quali saranno i riflessi sulle scaleup europee?
“Succederà che Londra sarà un po’ meno attrattiva per le nuove startup“, afferma il presidente di Mind the Bridge, Alberto Onetti.
Convinto che difficilmente le scaleup, giocoforza più strutturate, risentiranno dell’addio all’Unione europea da parte del Regno Unito.
Tanto più che quando si parla di aziende innovative, “andiamo verso uno scenario nel quale non c’è un’Europa dei Paesi, ma delle città. Quando parliamo di Gran Bretagna parliamo in realtà di Londra, che ospita il 70% delle scaleup inglesi”.
“Sicuramente una certa capacità di attrarre capitali dall’Europa su Londra verrà meno. E quindi queste risorse si distribuiranno su altre realtà europee. Se c’è un lato positivo della Brexit, per quanto mi riguarda, è proprio questo”, afferma Andrea Di Camillo, managing partner del fondo di venture capital P101.
In attesa di capire che sarà del Regno Unito, ci sono però mercati minori che si fanno avanti.
Per esempio la Spagna, seconda realtà europea per le scaleup dell’intelligenza artificiale (7,8%) e per capitale raccolto in questo settore (5,6%).
O Norvegia e Olanda, capaci di attirare rispettivamente il 10,1 e il 9% degli investimenti nell’ industria 4.0.
“Ci sono delle realtà che si stanno dando da fare”, prosegue Di Camillo, “guardiamo al caso della Francia: cinque o sei anni fa era un mercato non molto diverso dal nostro. Oggi è di un’ordine di grandezza superiore”.
Circostanza che porta dritti ai mali dell’ecosistema del nostro Paese.
Partito in ritardo e ora a rischio di essere ripreso anche da chi si è mosso dopo di noi.
“Il motivo? Da noi manca il mindset. In Italia i risultati positivi sono figli di pochi operatori istituzionali. Nel Regno Unito nascono da realtà industriali che hanno l’idea di investire in innovazione attraverso l’acquisizione di impresa”.
Analisi che trova d’accordo anche Onetti.
“Ci sono ecosistemi così periferici nei quali, se succede un problema, è difficile risolverlo”.
Il riferimento alla recente chiusura di Mosaicoon, scaleup siciliana del video marketing.
“Se fosse stata all’interno di un ecosistema più ricco, qualcuno se la sarebbe comprata”.
È vero, la storia di questa realtà “insegna che si può fare azienda ovunque”.
Perché duri, però, serve il contesto.
E sotto questo profilo in Italia c’è ancora molto da fare.
Riccardo Dinoves
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