Dopo 24 anni torna il colera, importato dal Bangladesh
Due casi di colera, per la prima volta in Italia a 45 anni dall’ultima epidemia: colpiti una madre e il figlio di soli 2 anni.
Il vibrione è stato isolato, presso l’Ospedale Cotugno di Napoli, nelle feci del piccolo, trasferito dal Santobono, e sulla mamma, rientrati recentemente da un viaggio in Bangladesh e residenti a Sant’Arpino, in provincia di Caserta.
I responsabili dell’ospedale hanno comunicato che “Immediatamente è stata allertata la Asl competente e sono state attivate tutte le procedure previste dai protocolli. I contatti familiari del caso sono stati già individuati e sono attualmente sotto stretta osservazione sanitaria. Al momento, entrambi i pazienti sono in condizioni stazionarie. La situazione è del tutto sotto controllo”.
Proviamo ad essere ottimisti.
In Europa e nei Paesi industrializzati il colera è una malattia di importazione.
In Italia, l’ultima importante epidemia di colera risale al 1973 in Campania e Puglia.
Nel 1994 si è verificata a Bari un’epidemia di limitate proporzioni, in cui sono stati segnalati meno di 10 casi.
Da pochi anni la Penisola ed il vecchio continente continuano a registrare casi di malattie che si riteneva fossero state debellate o quantomeno ridimensionate.
In un comunicato emesso dall’Oim, Organizzazione Internazionale per le migrazioni, si legge: “Malattie come la Tbc, l’Aids e l’epatite non hanno il passaporto, eppure possono spostarsi da un paese all’altro. Nell’Area economica europea su dieci sieropositivi all’Hiv quattro sono immigrati. Questa regione è la sola in cui i sieropositivi sono in aumento, in cui la Tbc resistente ai farmaci sta erodendo i traguardi sanitari raggiunti e in cui la popolazione è viepiù esposta all’epatite virale. È vero soprattutto nell’est dell’area e, tra tutti i gruppi vulnerabili, gli immigrati sono quelli più a rischio”.
A parlare di malattie che viaggiano da un paese all’altro e a dire che l’Europa è l’area geografica più compromessa non sono stati dei sostenitori della Lega o quanti vengono definiti razzisti o xenofobi, né tantomeno il ministro Matteo Salvini o il premier Viktor Orban bensì Argentina Szabados, direttore regionale dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, Oim, per l’Europa sud orientale e orientale e per l’Asia centrale.
Lo ha fatto intervenendo il 27 settembre al primo di tre panel dedicati alla salute, nell’ambito della 73a Assemblea generale delle Nazioni Unite in corso al Palazzo di Vetro di New York.
L’incontro di alto livello era dedicato a definire una strategia comune Onu per combattere queste tre malattie che colpiscono milioni di persone nell’area suddetta.
Il copresidente del panel Nedret Emiroglu, direttore della Divisione emergenze sanitarie e malattie contagiose dell’Oms, ha commentato a sua volta: “Ogni giorno mille europei si ammalano di tubercolosi. È un numero inaccettabile” tanto più considerando che la regione presenta la più alta percentuale di Tbc resistente ai farmaci; “quanto all’Hiv, l’allarme è ancora maggiore” perché il numero di nuovi sieropositivi è aumentato del 75% dal 2006 e con esso anche il numero dei decessi per cause riconducibili all’Aids.
Per questo Oms Europa in collaborazione con altre agenzie delle Nazioni Unite ha elaborato un programma intersettoriale di contrasto alla tubercolosi, all’Hiv e all’epatite virale in Europa e Asia Centrale (ex repubbliche sovietiche)
A meno che l’Italia rappresenti una fortunata eccezione rispetto al resto dell’Europa, qualcuno mente o si serve di dati errati, forse non aggiornati.
I processi migratori – ha spiegato la portavoce dell’Oim – possono esporre gli emigranti, specie quelli in situazioni di vulnerabilità, a rischi sanitari derivanti da pericolose condizioni di viaggio, inclusa l’esposizione a malattie infettive e contagiose, a gravi traumi psicosociali, a violenze e ad abusi.
Gli emigranti inoltre possono risentire negativamente di un limitato accesso a cure sanitarie continuative e di buona qualità, a forme di esclusione, emarginazione e discriminazione.
Pertanto l’Oim sollecita l’attuazione di iniziative di prevenzione e cura, a beneficio sia degli emigranti che delle comunità ospiti.
Arnaud Daniels
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