Negli Usa disoccupazione ai minimi storici scende al 3,7%
Mentre negli Usa discussioni e dibattiti sulla nomina del giudice Brett Kavanaugh riempiva le pagine dei quotidiani e dei rotocalchi, infuriava e monopolizzava l’attenzione di radio e tv, l’economia del paese batteva l’ennesimo record.
Il tasso di disoccupazione in America è sceso al 3,7% a settembre secondo i dati resi noti dal Dipartimento del Lavoro.
In tutto, solo sei milioni di persone nell’intera Unione sono senza lavoro.
Era dal 1969 che non si registrava una disoccupazione così bassa.
Sono stati rivisti al rialzo i numeri sulle assunzioni di luglio e agosto: sono passate rispettivamente da 147mila a 165mila e da 201mila a 27mila.
Molti analisti prevedono che la disoccupazione diminuirà ancora nei prossimi mesi: a settembre sono stati creati “solo” 134mila posti di lavoro, quasi 40mila in meno rispetto a quelli previsti.
Il minore tasso di occupazione, tuttavia, potrebbe essere compensato da un maggior numero di assunzioni nei prossimi mesi e potrebbe avere cause solo accidentali e naturali.
Secondo Jim O’Sullivan, capo economista alla High Frequency Economics, intervistato dal Washington Post, la colpa ricade interamente sull’uragano Florence, con il suo forte impatto sull’occupazione nella ristorazione e nel commercio al dettaglio.
A trainare la creazione di occupazione negli Usa sono soprattutto il settore manifatturiero, con 18mila nuove assunzioni, l’edilizia e la sanità, con oltre 20mila ciascuna, e il pubblico impiego. Hanno perso impieghi invece l’ospitalità e il retail.
Cresce il divario dovuto alla maggior o minor istruzione. Tra i diplomati delle scuole superiori la disoccupazione sale al 5,5%, mentre tra laureati scende al 2%.
Buoni i dati sulle minoranze.
La disoccupazione di ispanici e neri ha raggiunto il suo minimo storico, confermando un trend ben visibile sin dall’inizio dell’amministrazione Trump.
Quanto all’occupazione per genere, la disoccupazione femminile ha toccato il suo minimo storico degli ultimi 50 anni. Nell’ultimo mese anche i salari sono cresciuti.
A settembre sono aumentati del 2,8%, in leggero calo però rispetto al 2,9% segnato in agosto, il dato più alto degli ultimi nove anni.
Amazon, per esempio, porterà il salario minimo orario a 15 dollari per tutti i suoi dipendenti, sia quelli giù assunti (circa 250 mila), sia per i nuovi assunti, stimabili in circa centomila unità.
Il settore manifatturiero è quello che registra la più eclatante svolta positiva con la nuova amministrazione repubblicana: negli ultimi anni della presidenza Obama aveva registrato 16mila posti di lavoro in meno, già nel primo anno di quella Trump ne ha aggiunti 196mila.
Ed è proprio quest’ultimo dato che contribuisce a smentire la tesi di chi, ancora, ritiene che sia l’onda lunga della presidenza Obama a regalare agli americani un periodo di crescita.
Tassi di crescita economica e di riduzione della disoccupazione a questi livelli non si sono mai visti negli 8 anni di Obama, nelle sue due amministrazioni.
Quando il presidente Democratico aveva preso le redini del Paese, nel 2009, le colpe per la mancata crescita e l’alto tasso di disoccupazione erano spesso attribuite alla coda della presidenza Bush.
Ma dal 2009 al 2016, nonostante i piani di stimolo, con quasi 800 miliardi di dollari in finanziamenti pubblici ai settori strategici dell’economia, si è assistita a quella che gli osservatori chiamano “ la più lenta ripresa dalla seconda Guerra Mondiale”, il 2% di crescita annua del Pil.
Un dato quasi raddoppiato da quando è Trump al timone.
Qualcosa vorrà dire. Anche di fronte ai dati sull’occupazione da record, l’opposizione dei Democratici polemizza comunque attorno ai numeri ed in particolare attorno alla crescita dei salari (“ferma” a +2.8%).
La ricetta proposta da Donald Trump stia dimostrando di funzionare, contrariamente alle quasi unanimi previsioni negative fino al 2017 inoltrato. Ma si rischia di non capire le cause della crescita.
La vera lezione di questa amministrazione è che la drastica riduzione del numero di regole e soprattutto il taglio delle tasse, hanno dato una fortissima spinta all’economia.
Quanto alla deregulation, Trump ha cassato 22 regole per ognuna delle nuove che ha implementato. E il suo taglio drastico delle tasse ha lasciato nelle tasche di ciascuna famiglia, in media, 2.059 dollari in più, all’anno.
La crescita dei posti di lavoro e dei salari è dovuta soprattutto alla riduzione delle tasse sulle imprese che, prima della riforma del 2017, erano fra le più alte del mondo industrializzato.
Ne è convinta la maggioranza degli economisti (68 fra accademici, esperti di finanza e consulenti nel settore privato) sentiti in un sondaggio del Wall Street Journal.
All’inizio dell’anno prevedevano effetti molto positivi su crescita e occupazione dovuti soprattutto a un fattore: il taglio delle tasse.
Non si sa ancora, invece, quale potrebbe essere l’impatto dell’altra politica di Trump, quella della guerra commerciale e delle tariffe protezionistiche.
Troppo presto per dirlo, perché è incominciata solo quest’estate, ma si teme che possa avere degli effetti controproducenti.
Si va a logica: i dazi aumentano i prezzi, con conseguente diminuzione del potere d’acquisto degli americani. E questo potrebbe avere conseguenze negative anche sulla produzione e sul lavoro.
Niccolò Rejetti
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