La cucina italiana nasce con la Prima Guerra Mondiale
La prima Grande Guerra del 1914 – 1918 che inizia il Secolo Breve è uno spartiacque nelle cucine non solo di tutta Europa e America, ma anche in Italia perché non interessa soltanto gli alimenti consumati e gli strumenti di cottura e di trasporto utilizzati durante la guerra dai soldati, ma ha un impatto sociale per certi aspetti travolgente in un paese prevalentemente agricolo di una popolazione in gran parte povera e largamente analfabeta.
Per molti soldati poveri e provenienti dalle campagne delle più diverse regioni, il pasto fornito pur con molte difficoltà e carenze è di quantità superiore a quella che sono abituati a consumare in casa, dove la carne per loro è un alimento raro, anche se quantità non equivale a qualità.
Durante il conflitto i soldati polentoni settentrionali e i mangiafoglie meridionali conoscono nuovi scenari alimentari che i reduci porteranno alle loro famiglie dando inizio a quell’unificazione degli stili alimentari che trova un’ulteriore spinta durante la seconda Grande Guerra del 1940 – 1945.
I cambiamenti alimentari non avvengono soltanto nei soldati che combattono sui fronti di combattimento o sono nelle retrovie, ma nelle famiglie dove le donne vanno a lavorare nelle fabbriche, devono abbandonare gli stili delle cucine tradizionali del fatto in casa e utilizzano pane, pasta e altri alimenti preconfezionati di rapido approntamento e cottura.
Con lo scoppio della guerra e gli uomini al fronte sono le donne ad occuparsi del raccolto del grano e, non più dedite solo alle mansioni di casa e ad accudire i figli, per la prima volta utilizzano macchine agricole e svolgono lavori prima maschili, quali operaie nelle fabbriche, infermiere negli ospedali e cuoche nelle mense.
Per le donne è un momento fondamentale per la storia sociale e di riflesso anche dell’alimentazione.
La maggior parte della popolazione con la guerra ha conoscenza di viveri speciali, prima sconosciuti, che poi nell’immaginario popolare si trascineranno con la non sempre felice fama di cibi di guerra come le gallette, le scatolette di carne, pesce o pomodoro, il latte in polvere e alcuni sostituti.
Il pane non è bianco ma più o meno integrale, integrato anche con farine di cereali minori e di leguminose, diverso da quello delle tradizioni regionali è sostituito dalla galletta, uno speciale biscotto non lievitato a lunga conservazione.
La scatoletta è l’altra protagonista dell’alimentazione di guerra, prodotta con carne bovina o suina oppure pesce in prevalenza tonno, e confezionata in contenitori di latta.
Altre novità in scatola sono il concentrato di pomodoro che costituisce il più economico e diffuso condimento della pasta, e il latte in polvere.
Alla fine del conflitto nei magazzini militari rimangono molte scatolette che sono distribuite e acquistati dalle famiglie italiane entrando nelle loro abitudini alimentari.
Prima della guerra l’Italia è ancora divisa in due diversi stili di alimentazione: al settentrione si fa abbondante uso di polenta di mais, riso, latte e burro, mentre la pasta, il pomodoro e l’olio d’oliva sono alimenti caratteristici dei meridionali.
Con gli spostamenti di popolazioni durante la guerra e il mescolamento di italiani provenienti da varie regioni si ha uno scambio di ricette locali che accelera un processo di unificazione della cucina popolare italiana, prima iniziato a livello borghese.
Dopo la guerra, il concentrato di pomodoro, le scatolette di sardine, carne, legumi non sono più alimenti di emergenza per i combattenti e la pasta inizia a diventare un alimento comune per gli italiani, assieme all’olio, conserve, biscotti e vino.
Un altro aspetto dell’azione unificante della guerra riguarda i rapporti che si sviluppano tra l’Europa e le Americhe, non solo per le importazioni di carni congelate, ma per l’arrivo dei soldati americani che in Europa scoprono cucine a loro in gran parte sconosciute, anche agli immigrati italiani che in Italia avevano lasciato una cucina della fame.
Una serie di conoscenze che sarà determinante nella costruzione di nuove cucine americane.
Giovanni Ballarini professore emerito dell’Università degli Studi di Parma
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