Sicuro che Corte Ue vuol far pagare l’Ici alla Chiesa?
In queste ore una sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue ha messo in agitazione le redazioni di giornali e tv a proposito dell’Ici che la Chiesa dovrebbe versare nella casse dello Stato.
Ma non vi è uniformità di pareri sull’argomento, vi è chi la pensa in maniera del tutto diversa. Radicali, anticlericali e massoni gridano vittoria a squarciagola, diversi legali sostengono che per la Chiesa si è trattata di una sentenza favorevole in quanto stabilisce che gli enti ecclesiastici non sono enti commerciali.
Vi è chi è convinto che la realtà giuridica è diversa rispetto a quanto è stato divulgato dai media, visto che vi sono alcune approssimazioni interpretative su un tema parecchio tecnico e che pochi conoscono.
Alcune organizzazioni hanno sollecitato la Commissione Europea ad occuparsi delle agevolazioni fiscali di cui godono alcune attività legate al no profit, ciò al fine di far dichiarare le norme in questione contrastanti con il divieto di aiuti di Stato stabilito dai Trattati Europei.
In uno di questi casi, sollecitato dalla scuola Montessori S.r.l. di Roma, la Commissione aveva stabilito che fosse contrastante con il divieto di aiuti di Stato il regime di esenzione dall’ICI (imposta comunale sugli immobili) applicabile prima del 2012 agli immobili utilizzati dagli enti non commerciali (come associazioni e fondazioni) destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive, religiose o di culto.
Allo stesso tempo la Commissione aveva ritenuto che fosse oggettivamente impossibile per la Repubblica Italiana procedere al recupero di questo tipo di “aiuti”.
Nella stessa occasione, la Commissione aveva invece ritenuto che le modifiche apportate a tale agevolazione dal 2012 in poi (e, quindi, nell’attuale sistema IMU) erano sufficienti a rendere l’esenzione compatibile con i principi europei.
La Montessori ha contestato tale decisione in ogni sua parte e il giudice di primo grado le ha dato torto su tutti i fronti. Essa ha, successivamente, proposto ricorso avverso tale decisione di primo grado e la Grande Sezione della Corte di Giustizia, da un lato, ha confermato che la normativa successiva al 2012 è pienamente legittima e, dall’altro lato, ritenuto che non fosse stata adeguatamente dimostrata l’obiettiva impossibilità di procedere al recupero dell’ICI per gli anni precedenti.
La Commissione Europea ora dovrà avviare una nuova procedura istruttoria per verificare meglio se sia davvero impossibile per la Repubblica Italiana procedere al recupero di questa tipologia di “aiuti” per gli anni precedenti al 2012.
Se la Repubblica Italiana sarà in grado di dimostrare nella nuova istruttoria che i requisiti fissati dalla normativa del 2012 erano nella sostanza già rispettati anche prima del 2012, nessun aiuto di Stato può dirsi sussistente e, conseguentemente, nessun obbligo di recupero potrà essere sancito.
La sentenza di primo grado ha chiaramente sottolineato che la difesa del Governo Italiano, al tempo dell’istruttoria, è stata lacunosa e poco approfondita. La nuova istruttoria che la Commissione dovrà compiere andrà, invece, presa sul serio.
Serve comunque sottolineare che l‘Unione Europea ha competenza, in materia tributaria, soltanto per la disciplina di alcune tipologie di tributi (essenzialmente dazi doganali, accise e IVA).
Per il resto, può intervenire soltanto in casi limitati. Ma la Commissione e la Corte di Giustizia tendono ad ampliare le loro competenze qualificando le agevolazioni che gli Stati membri stabiliscono in tributi interni (come l’ICI) come aiuti di Stato: in poche parole, il concetto di aiuti di Stato viene utilizzato come grimaldello per estendere le competenze dell’Unione ad ambiti che non le competono.
Questo caso specifico rientra appieno in tale abuso del ricorso al concetto di aiuti di Stato: come può ragionevolmente sostenersi che l’esenzione ICI delle scuole paritarie incida sugli scambi tra Stati membri e falsi la concorrenza?
Eppure, tale dimostrazione sarebbe necessaria per rendere applicabili le clausole in materia di divieto di aiuti di Stato e avrebbe condotto ad archiviare la vicenda ben prima del contenzioso odierno.
Dopotutto la Chiesa Cattolica è stata chiamata impropriamente in causa, semmai possono entrarci gli enti ecclesiastici, i quali sono una delle molteplici categorie soggettive alle quali si applica l’esenzione ICI, su cui si è pronunciata ieri la Corte di Giustizia.
Il regime tributario della Chiesa Cattolica e una parte di quello degli enti ecclesiastici è oggetto di trattati internazionali stipulati dall’Italia (vedi il Trattato e Concordato Lateranense e gli Accordi di Villa Madama) e tali trattati sono specificamente richiamati dall’art. 7 della Costituzione.
Per cui, in caso di eventuale contrasto con il diritto dell’Unione Europea, sarebbe quest’ultimo a dover risultare recessivo, e non viceversa.
Il richiamo alla Chiesa Cattolica nel messaggio divulgato dai media è frutto di un semplice anticlericalismo di maniera. In questa prospettiva la sentenza della Corte di Giustizia dovrebbe in realtà porre importanti argini al mito del Vaticano evasore.
È stata definitivamente accertata dal supremo organo giudiziario dell’Unione Europea la compatibilità con il diritto europeo della norma che impedisce la riqualificazione come enti commerciali degli enti ecclesiastici e della norma che stabilisce oggi e per il futuro l’esenzione dall’IMU per gli immobili destinati a una serie di attività non profit.
A fronte delle rimostranze che un’agguerrita parte dell’opinione pubblica italiana periodicamente solleva, non è un risultato da poco.
Arnaud Daniels
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