Compagno mitra, episodi e nomi della resistenza rossa
Gran parte delle pagine di storia vengono scritte dai vincitori, i quali essendo i nuovi proprietari di tipografie e banche, come pure di numerose poltrone politiche, possono concedersi l’autorizzazione a modificare la notizia, mistificare taluni elementi, ed oscurare diversi episodi.
È sufficiente rammentare che a distanza di oltre due secoli la Repubblica di Francia ancora non ha voluto riconoscere il primo genocidio dell’epoca moderna. Tra il 1792 ed il 1802 in Vandea furono trucidati 117.257 persone tra uomini, donne, anziani e bambini, su una popolazione di 815mila abitanti, pari al 14,38%. Tutto all’insegna della liberté-egalité-fraternité. Il generale Francois-Joseph Westermann, inviato dai rivoluzionari a sistemare la questione in quel dipartimento troppo legato alla monarchia e alla religione, ecco quanto scriveva in una lettera al Comitato di salute pubblica il 23 dicembre 1793 a seguito della battaglia di Savenay: “Cittadini repubblicani, non c’è più nessuna Vandea! È morta sotto la nostra sciabola libera, con le sue donne e i suoi bambini. L’abbiamo appena sepolta nelle paludi e nei boschi di Savenay. Secondo gli ordini che mi avete dato, ho schiacciato i bambini sotto gli zoccoli dei cavalli e massacrato le donne che non partoriranno più briganti. Non ho un solo prigioniero da rimproverarmi. Li ho sterminati tutti … le strade sono seminate di cadaveri. Le fucilazioni continuano incessantemente a Savenay, poiché arrivano sempre dei briganti che pretendono di liberare i prigionieri”.
Compiendo un passo in avanti e fermandosi alla Guerra Civile di Spagna, nella penisola iberica nei primi sei mesi i socialcomunisti avevano eliminato oltre 6.800 tra sacerdoti e monache, distrutto e profanato centinaia di chiese e cimiteri. Nella diocesi di Barbastro-Monzon, in Aragona, che ha dato i natali a San Josemarìa Escrivà de Balaguer, il fondatore dell’Opus Dei, venne massacrato l’88% del clero locale.
Tra luglio 1936 e marzo 1939 i rossi torturarono, seviziarono e trucidarono 4.184 preti e seminaristi, 2.365 frati, 283 suore, 13 vescovi, ovvero 6.845 persone inerme e indifese che avevano l’unica colpa di credere in Dio.
Un’altra pagina di storia testimonia la crudeltà e l’odio del quale erano assatanati i compagni, questa la scrisse il romagnolo socialista Pietro Nenni (Faenza 1891-Roma 1980) impegnato a guerreggiare in Aragona: “Purtroppo non si è riusciti a sfondare le difese di Saragozza, ad incendiare la grande basilica del Pilar e a fare piazza pulita del clero”. Quasi certamente il compagno non era a conoscenza che nel luogo ove sorge la Catedral-Basilica de Nuestra Señora del Pilar de Zaragoza su una colonna (pilar) di alabastro in bilocazione nell’anno 40 apparve la Madonna all’Apostolo Giacomo il Maggiore. È la prima apparizione della Vergine ed il più antico santuario della cristianità.
Finisce la Seconda Guerra e si scoprono e si condannano solo le efferatezze commesse da Hitler e Mussolini. Ci vorranno decine di anni per scoprire i milioni di morti dell’Unione Societica, a tutt’oggi ancora non si conosce il numero esatto dei trucidati del Cremlino, cifra che oscilla tra i 40 e i 110 milioni.
Franklin Roosevelt e Iosif Stalin riunitisi a Yalta dal 4 all’11 febbraio 1945 oltre a dividersi il pianeta imposero un assoluto silenzio su ciò che era accaduto dal 1939 al 1945. Non si doveva parlare e raccontare delle fortezze volanti che avevano raso al suolo casolari, villaggi e città da parte degli Alleati, dovevano rimanere nelle tenebre le atrocità commesse un po’ ovunque con la scusa della guerra.
Si dovevano narrare con dovizia di particolari solo i morti causati dai nazifascisti e le nefandezze dei lager nazisti, ma silenzio assoluto sui gulag e sulle foibe, sulle decine di migliaia di innocenti trucidati dagli assassini di sinistra che mescolavano con estrema semplicità la fede, la politica, l’odio personale.
Per decenni pochissimi hanno osato scrivere un rigo su ciò che combinarono molti compagni di casa nostra all’indomani dell’8 settembre 1943. Guai a “gettare fango” sui partigiani assassini. Quei pochi che hanno osato utilizzare qualche grammo di volontà per narrare le macellerie tinte di rosso rapidamente li si posizionava all’indice e al di fuori della società.
Provò Giampaolo Pansa, voce autorevole del giornalismo nazionale che ha prestato la sua penna ai maggiori quotidiani e settimanali italiani, con il libro “Il Sangue dei vinti” inserito nel ciclo dei ‘vinti’. Sino a quel giorno giornalista e scrittore stimato dalla sinistra ma da quel momento ne diviene il bersaglio. Ad ogni presentazione trovava la strada sbarrata da gruppi di sinistra e da storici, sempre di sinistra, che lo accusavano di revisionismo.
La sinistra italiana si è sempre autoproclamata depositaria della cultura e della veridicità storica utilizzando qualsivoglia strumento utile all’oltraggio e all’aggressione, meglio se spalmato con stallatico.
Chi ha osato sfidare i salotti di falce e martello negli ultimi mesi è lo storico ravennate Gianfranco Stella, il quale dal 1990 si occupa delle imprese compiute dai partigiani filosovietici a partire da quelle della Brigata Garibaldi. Di certo il coraggio non manca a Stella come pure la voglia di conoscere quella veridicità nascosta, piuttosto scomoda e velenosa per il potere.
Se ne accorge sulla propria pelle quando va in libreria il suo “1945 Ravennati contro – La strage di Codevigo”, pagine che fanno infuriare i dirigenti nazionali dell’Anpi che denunziano l’autore per diffamazione e vilipendio. La querela va ad ingolfare le sovraccariche scrivanie giudiziarie che dopo anni emettono sentenza di assoluzione.
Ogni volta che dalla tipografia esce un suo lavoro la sinistra sale sulle barricate. È successo anche con “Rifugiati a Praga”, con “I grandi killer della liberazione” e con tutti gli altri.
Nei giorni scorsi dai tipi della Full Print di Ravenna è stata stampata l’opera più recente “Compagno mitra” che tantissimo ha fatto discutere prima ancora di vedere la luce. Alla presentazione avvenuta a Reggio Emilia, l’Anpi, pur non avendo letto una pagina, minaccia querele e denunce. Quasi tutte le sigle della sinistra reggiana si danno appuntamento davanti all’hotel Notarie per ostacolare la divulgazione del testo, ma si presentano poche decine di persone distratte a differenza delle sale ove l’autore racconta il suo impegno letterario che sono stracolme.
Ma perché tanto clamore e così tanto timore per delle pagine, a loro dire, colme di inesattezze e cialtronerie?
Una forte e radicata democrazia non può e non deve avere paura del suo passato.
Nella nota iniziale di “Compagno mitra” Gianfranco Stella puntualizza: “Sconfitti i fascisti, rifiutando obbedienza agli ordini di qualsiasi autorità, i partigiani comunisti intesero rivolgersi contro il clero e la borghesia”. Ed il pensiero torna alla Vandea e alla Spagna. Voglia forsennata di scannare senza una ragione ma solo perché l’inconsapevole nemico indossa una tonaca nera oppure camicia bianca e cravatta scura. Odio e sangue germogliati dalla roulette russa.
Come ogni guerra civile e ogni dopoguerra ci si accorge che il proletario, il manovale, il bracciante si lasciano tentare dalla trasformazione di tramutarsi in crudeli assassini dietro il paravento di una pseudo motivazione politica. Diventa, persino, il momento buono per azzerare vecchie pendenze, per mettere in pari offese generazionali, per appagare rancori di classe. Una sorta di pulizia etnica sociopolitica.
Pulizia che la sinistra italiana ha celato con spesse e dense coltri di polvere ma sempre con il beneplacito di una accomodante e silenziosa connivenza democristiana postbellica.
Quella democrazia che risulta essere incapace di sgombrare gli armadi dei propri scheletri e delle proprie malefatte è una democrazia zoppicante, orba e sorda.
In oltre 600 pagine Gianfranco Stella annota azioni criminose, individui spietati, il tutto ricavato da atti processuali, da testimonianze e analisi storiografiche. Sono menzionati 2361 nominativi che si sono macchiati di delitti più o meno gravi. Ha provveduto ad elaborare 96 biografie dei “grandi killer” regionali che funestarono le province del Nord Italia (38 in Emilia Romagna, 2 in Friuli, 16 in Liguria, 6 in Lombardia, 21 in Piemonte e 13 nel Veneto). Bagni di sangue rimasti impuniti.
Ma il capitolo più impressionante è quello che analizza le Famiglie sterminate dagli assassini vestiti di rosso, 84 nuclei familiari sotterrati in fosse improvvisate alla stregua della peggio razza canagliesca. Come la famiglia Benericetti di Casola Valsenio, Ravenna, il cui capofamiglia Luigi, 38 anni, fu prelevato da casa con un inganno e portato al comando brigata, le figlie Olga, 19 anni, e Pasqualina, 15 anni, si recano presso il comando partigiano per ottenere la liberazione del padre ma vengono torturate e violentate per un’intera giornata e alla fine impiccate. La madre appena sa della loro tremenda fine va fuori di senno e la rinchiudono in manicomio ove passa a miglior vita poco dopo l’internamento.
Giuseppina Ghersi di Savona, classe 1931, ha già compiuto tredici anni il giorno in cui viene seviziata e assassinata da sei coraggiosi giovanotti savonesi che accusano la bambina di essere fascista. A tredici anni la signorinella è una convinta e fervente fascista, fors’anche pericolosa, per cui merita l’orrenda fine. A tutt’oggi i comunisti sono convinti di aver compiuto un atto dovuto poiché che era in atto la caccia al fascista in quanto la battaglia doveva considerarsi conclusa solo il giorno in cui sul territorio italiano fossero scomparsi i fascisti, di qualsiasi età e sesso. Poco si discosta dai proclami della Vandea e della Spagna.
Si vis pacem para bellum ovvero la miglior difesa è l’attacco, e la tattica sfruttata da molti comunisti nel dopoguerra per sfuggire ai giudizi della storia. E per sfuggire anche alla giustizia tantissimi compagni assassini si rifugiarono in Cecoslovacchia dietro suggerimento della madre Russia. È la stessa Cecoslovacchia che trent’anni dopo offrirà alle “brigate rosse” campi di addestramento e lauti finanziamenti per seminare terrore e lutti dalle Alpi all’Etna. Coloro che non poterono usufruire di amnistie politiche e bugie giudiziarie divennero migranti d’oltre cortina.
Gianfranco Stella è stato criticato perché ha voluto “riscrivere la storia”, si sono affrettati a dichiarare i dirigenti comunisti. Il guaio è che quella “storia” particolare e minuziosa non è mai stata scritta, è stata sempre tenuta nascosta come fanno i francesi con le 117.257 vittime della Vandea e come fanno gli spagnoli con i 6.845 religiosi della Guerra Civile. Ecco perché quelle 606 pagine di studio, di ricerca, di coraggio, sono utili. Perché servono a capire cosa effettivamente è successo in quei mesi postbellici. Perché la verità non risiede mai tutta a destra o tutta a sinistra. Forse i comunisti di oggi farebbero bene a leggere “Compagno mitra” per comprendere gli errori di ieri e per gli errori di domani.
Gli Stati Uniti dopo la guerra civile di Secessione, 1861-1865, ebbero il coraggio di considerare i vinti quali co-fondatori dello Stato nascente. Nella patria di George Washington una quantità di monumenti, nomi di strade e piazze, memorial, sono dedicati ai patrioti della Confederazione. Sarebbe come se all’indomani del 22 aprile 1946, gli italiani della Repubblica di Salò fossero stati nominati “patrioti avversari” e cofondatori della Repubblica Italiana perciò invitati a preparare e approvare la Costituzione.
Ma oltre l’Atlantico esiste un’altra nazione, nella Penisola è un’utopia visto che l’odio rosso nei confronti di qualsiasi avversario non si attenua mai, poco importa se si chiami democristiano o berlusconiano o gialloverde che dir si voglia.
bruno galante
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