Coraggiosi con la Chiesa fifoni e codardi con Maometto
“Bella è quell’ira” canta Attila nell’opera omonima scritta da Giuseppe Verdi.
E “bella è quell’ira” del sindaco di Cenate Sotto (Bergamo) Giosuè Berbenni il quale, alla notizia che nell’Attila allestito per la prima della Scala ci sarebbe stata una scena blasfema, scrisse al sovraintendente del teatro milanese queste fumantine righe: “Ho saputo il 25 novembre da fonti dirette che al Teatro Alla Scala il giorno 7 dicembre verrà fatta l’inaugurazione della stagione con l’opera “Attila” di Giuseppe Verdi; c’è una scena molto spinta dove viene rappresentato un bordello. In questa scena una donna prende la statua della Vergine Maria, madre di Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, e la scaraventa a terra. La scena è raccapricciante. Con la presente chiedo in qualità di credente che questa scena blasfema contro l’Immacolata -che si festeggia il giorno seguente- e contro la cristianità, venga tolta. Sono credente – continua il sindaco – ci tengo che ci sia rispetto: a mio avviso il Teatro alla Scala non merita questa blasfemia, così come non la meritano Giuseppe Verdi e tutta l’Italia. La ritengo una scena fastidiosa e inutile”.
Grazie a questa lettera e ad altre proteste nate in seno al teatro e sbocciate in rete, il regista David Livermore pare che abbia cambiato idea. Inizialmente, così sembra, l’oggetto da scagliare a terra non doveva essere più una statua della Santissima Vergine, bensì un putto.
Ad oggi pare che debba invece andare in frantumi un vitello d’oro.
Staremo a vedere cosa accadrà il 7 dicembre.
A chi faceva notare al regista che l’atto di mandare in frantumi una statua della Madre di Gesù poteva risultare urticante alla sensibilità di molti – anche perché gesto compiuto durante i vespri dell’Immacolata – pare che abbia risposto che la sua intenzione non era quella di avvallare simile condotte, bensì di biasimarle, di denunciarle.
Però, così vorremmo replicare, vista la reazione del sindaco e di molti altri, pare che i modi per soddisfare tali fini non siano stati dei più consoni.
Ad esempio per stigmatizzare uno stupro, non è necessario mostrare uno stupro.
Per opporsi alla pornografia non è propriamente furbo mostrare un film pornografico.
E poi non si comprende il motivo per cui vittima sacrificale debba essere sempre il cattolico. Vogliamo essere davvero provocatori, scuotere le coscienze assopite del pubblico?
Mandiamo in frantumi una statuetta di Maometto o di Budda (cosa ovviamente sbagliata).
Questa scena non la vedrete mai né alla Scala nè altrove sia per timore di ritorsioni sia perché per tutte le religioni si deve usare rispetto e tolleranza, ma non per quella cattolica.
È un vecchio cliché che però funziona sempre.
Per paradosso, poi, Livermore non è stato fedele allo spirito di quest’opera la quale insegna che occorre opporsi al barbaro invasore, per tutelare il proprio patrimonio culturale italico, tra cui il sentito religioso.
E così il sindaco di Cenate di Sotto è stato costretto a prendere i panni di Odabella che colpisce a morte l’unno perché ha osato dissacrare il sacro.
Ovviamente, banale a dirsi, nel libretto non si parla di statue della Madonna da fracassare, né di bordelli, né di donne mezze nude (queste ultime due cose probabilmente le vedremo alla prima scaligera).
Attila, la cui narrazione si svolge a metà del V sec. d.C., grazie a Livermore entra nella macchina del tempo e ne esce sguainando la spada in un periodo temporale che potrebbe trovarsi tra la Prima e la Seconda guerra mondiale.
Si tratta delle solite e fruste trovate dei registi a corto di idee: un paio di seni al vento, qualche simbolo religioso irriso, un bacio tra gay e si pensa di essere originali, quando invece si ripropongo solo stereotipi.
Altro che fantasia al potere. Solo gli sbadigli sono andati al potere.
Comunque sia, questa vicenda, se davvero andrà a buon fine, sarà istruttiva.
Non è vero che non serve mai protestare, denunciare, marciare o stare in piedi.
A volte basta una lettera come quella del sindaco Berbenni per far mutare il corso della storia, a patto, però, che sia ben affilata come la lama che uccise Attila.
Piero Vernigo
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