È un’Europa che bolle e non accenna a raffreddarsi
Per troppi anni a Bruxelles hanno privilegiato le lobby, l’alta finanza, la grande industria, il buonismo che è servito a celare numerose operazioni.
Giochi di potere politico ed economico, a tal punto che per non scontentare la Francia si sono inventati una doppia sede, Bruxelles e Strasburgo, che costa ai cittadini circa 110 milioni di euro l’anno.
Un’Europa a trazione franco-tedesca che ha indotto la Gran Bretagna ad un referendum per staccarsi dall’egemonia Parigi-Berlino.
Hanno agevolato le lobby pseudo buoniste per creare caos se seminare panico non tenendo conto della reazione popolana, si sono precipitati ad aprire le frontiere immaginando chissà quali lauti introiti senza conteggiare le reazioni di quanti quotidianamente devono lottare per arrivare dignitosamente a fine mese.
Aprire le frontiere senza regole e condizioni ha significato importare giovanotti che hanno seminato scompiglio e tanto malumore, il risultato più evidente è stato quello di alimentare la paura e la rabbia la cui conseguenza è stata di quella di favorire la crescita delle destre in Europa.
Non è una caso se sono per l’appunto Germania e Francia ad assaporare sulla propria pelle i malumori di chi ha raggiunto il massimo della sopportazione.
Angela Merkel ha dovuto registrare un numero crescente di sconfitte elettorali a tal punto da essere costretta ad annunciare di esser5e giunta al capolinea. Emmanuel Macron da alcune settimane deve scontrarsi con i gilets jaunes per via di un aumento del carburante divenuto indigesto, la boria iniziale del presidente francese non aveva fatto bene i conti con la caparbietà degli organizzatori decisi a proseguire nelle manifestazioni sino a quando non avranno ottenuto il desiderato.
Si sa bene come funzionano talune iniziative, se non si ha la capacità e la volontà di bloccarle nel momento in cui la fiamma è gestibile si corre il rischio di veder bruciare Parigi, Lione, Marsiglia e Bordeaux e non solo gli Champs Elysées.
Se ai gilets jaunes si aggiunge il caos che regna nelle banlieu delle principali città e cittadine francesi dove oramai la legge di riferimento non è quella parigina ma quella della shaaria allora si comprende meglio cosa potrebbe accadere al di là delle Alpi se Macron si dimostra incapace ad affrontare talune situazioni di rischio e pericolo.
Nelle recenti consultazioni spagnole dell’Andalusia i socialisti del Psoe di Pedro Sanchez hanno incassato una sonora sberla cedendo ben 14 seggi mentre compare per la prima volta Vox, formazione di destra di ispirazione cristiano-democratica guidata da Santiago Abascal, dopo la scomparsa di Francisco Franco.
Spostandosi nell’Europa orientale si è costituito il gruppo Visegrad costituito da Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceka che si caratterizza per la posizione euroscettica, sovranista ma sopratutto antiimmigrazione.
Al gruppo dei quattro si è avvicinata l’Austria governata dal premier di destra Sebastian Kurz. Alla guida del Visegrad vi è l’ungherese Viktor Orban, capo del governo magiaro dal 2010 il quale ha fatto costruire
un muro al confine con la Serbia e di recente ha approvato una legge che vieta di sostenere i migranti illegali entrati irregolarmente.
Nel nord del vecchio continente l’aria non cambia.
Il governo della Danimarca ha in mente di trasferire i migranti non desiderati in una piccola isola fuori mano, usata al momento come laboratorio ove si studiano le malattie infettive degli animali.
La proposta è arrivata dalla ministra per l’Integrazione danese Inger Stojberg, la quale su Facebook ha scritto “In Danimarca non li vogliamo e se ne accorgeranno”.
Il governo danese dal 2015 è retto da una maggioranza di centro-destra fortemente conservatore soprattutto su tematiche migratorie: in diverse occasioni ha fatto discutere per alcuni atteggiamenti xenofobi e islamofobi, come quando la stessa Stojberg aveva postato una vignetta di Maometto con una bomba nel turbante .
Il 30 novembre il Partito popolare ha annunciato di aver siglato un accordo con le altre forze governative per alloggiare circa 100 persone a Lindholm Island, tra stranieri condannati penalmente e richiedenti asilo che non possono essere rimpatriati.
L’isola in questione è grande un chilometro quadrato, in un’insenatura del Mar Baltico, lontana tre chilometri dal posto abitato più vicino, la cittadina di Kalvehave. Al momento contiene solo centri di ricerca e forni crematori per lo studio di malattie infettive animali.
L’accordo fa parte di una più ampia intesa che funziona come un do ut des tra Partito popolare e governo: ogni anno il partito conservatore vota la legge di bilancio e in cambio alza il tiro delle sue richieste su difesa dei confini e gestione dei migranti. Il progetto che dovrebbe essere operativo a partire dal 2021.
Intanto si avvicina sempre più il 23 maggio 2019, giorno in cui si apriranno le urne per rinnovare il Parlamento Europeo.
Salvarico Malleone
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