Sindaci rossi e regioni comuniste contro il decreto Sicurezza
Prosegue a ritmo continuo il muro contro muro tra maggioranza e opposizione.
È uno dei motivi frenanti della crescita e del benessere nazionale, una opposizione sterile e finalizzata al blocco dell’apparato pubblico.
Ogni occasione è buona per sguainare le scimitarre e buttarsi nella mischia con l’intento di seminare panico e provocare allarme.
Gli ultimi episodi sono quelli del decreto Sicurezza, decreto impugnato dai sindaci della sinistra e dalle regioni rosse.
Leoluca Orlando sindaco di Palermo, Luigi de Magistris sindaco di Napoli, Dario Nardella di Firenze e Antonio Decaro di Bari, si sono autonominati nemici del decreto Sicurezza, almeno per quanto riguarda il capitolo sui permessi di soggiorno ai richiedenti asilo, e vorrebbero calpestarlo a suon di insulti.
Ai quattro moschettieri con cappa rossa bisogna aggiungere altri sindaci alla guida di comuni meno in vista ma sempre di sinistra.
Dietro i proclami di umanità e di buon cuore si scopre che la ragione concreta di questa alzata di scudi è di natura materialistica, vi sono motivazioni utilitaristiche e profondamente interessate.
Ci sono in ballo infatti un bel mucchio di soldi che verranno stornati dai finanziamenti per l’accoglienza diffusa nei comuni e nelle aree metropolitane: poco più di 150 milioni di euro e solo nel primo anno.
Perché tra permessi umanitari scaduti e richiedenti asilo ospitati negli Sprar che dovranno essere trasferiti nei centri di accoglienza straordinari o, in caso di diniego, nei centri per il rimpatrio il numero di stranieri cui far fronte, a dir poco, si dimezzerà.
I comuni quindi non otterranno più tutti quei fondi, previsti negli anni passati dagli ex ministri Angelino Alfano e Marco Minniti.
Milioni di euro che non si potranno più ridistribuire a cooperative, enti benefici e onlus in gran parte agganciati all’area di sinistra. E i comuni dovranno fare a meno anche dei 700 euro a migrante senza titolo, se ospitato nella rete Sprar.
Nella stessa misura Cittalia, la fondazione dell’Anci (Associazione nazionale comuni) non andrà più a gestire la rendicontazione di migranti negli anni a venire dalla quale intascava oltre 15 milioni di euro a triennio.
Insomma più che concrete ragioni per protestare, concretezza che supera abbondantemente la presunta solidarietà coi migranti.
A voler fare i conti in tasca ai comuni dissidenti si arriva facilmente all’ammontare elargito negli ultimi 7 anni a ciascuno di loro.
A Palermo, per il 2019, non entreranno più nelle casse ben 14,5 milioni di euro da impegnare nello Sprar: una beffa per Orlando che proprio un anno fa annunciava assieme al suo assessore alla Cittadinanza solidale di voler trasformare tutti i Cas in accoglienza diffusa avendo già incassato il via libera di Minniti e dell’Anci.
Il profitto? Ben 100 milioni di euro all’anno nelle casse del capoluogo siciliano.
Napoli invece dovrà rinunciare a 5,4 milioni, Bari a 4,2 e Firenze a 3,9.
E facendo un’ulteriore disamina delle grandi città accoglienti viene fuori il resto degli impegni di spesa che resteranno nelle casse dello Stato. Torino (6,3 milioni), Milano (14,4), Brescia (4,2), Bologna (14,8), Livorbo (3,9), Roma (17,2), Salerno (3,7) e Reggio Calabria (5,6).
Sarebbe più nobile che questi sindaci la smettessero di nascondersi dietro il paravento della pietas o dell’umanità.
A questa decurtazione solo parziale di fondi, pari a 99,3 milioni circa, si devono aggiungere le risorse dell’ultimo decreto firmato i primi di febbraio 2018, ossia a un mese dalle elezioni politiche, da Marco Minniti.
Ulteriori 50 milioni di euro che andavano ad allargare la platea delle piccole comunità, delle reti costituite da comuni minori consorziati tra loro e aperti all’ospitalità dei richiedenti asilo.
Una brusca ed inattesa frenata anche per questi ultimi 170 territori che, assieme a tutti gli altri, andranno a perdere 1.400.000 euro frutto di quella quota a migrante (700 euro per ciascun ospite) elargita senza vincolo alcuno dal Viminale fino a tutto il 2018.
Ed ecco che si arriva a un netto erariale di ben 150,7 milioni. Certo, un buon motivo per scendere in piazza e provare ad appellarsi alla Corte costituzionale.
Altro che carità di patria e umanità pietosa.
Riccardo Dinoves
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