Scomparsi 1,7 milioni di animali stalle e ovili si svuotano
Addio alla vecchia fattoria in Italia dove sono scomparsi 1,7 milioni tra mucche, maiali, pecore e capre negli ultimi dieci anni.
È la Coldiretti a lanciare l’allarme in occasione di Sant’Antonio Abate, il patrono degli animali, in Piazza San Pietro a Roma dove per l’occasione sono arrivate mucche, asini, pecore, capre, galline e conigli delle razze più rare e curiose salvate dal rischio di estinzione.
Una tradizione popolare che il 17 gennaio vede in tutta Italia parrocchie di campagne e città prese d’assalto per la benedizione dalla variegata moltitudine di esemplari presenti sul territorio nazionale.
Stalle, ricoveri e ovili si sono svuotati dal 2008 con la Fattoria Italia che ha perso solo tra gli animali più grandi, circa un milione di pecore, agnelli e capre, oltre a 600mila maiali e più di 100mila bovini e bufale.
Un addio che ha riguardato soprattutto la montagna e le aree interne più difficili dove mancano condizioni economiche e sociali minime per garantire la permanenza di pastori e allevatori.
A rischio anche la straordinaria biodiversità delle stalle italiane dove sono minacciate di estinzione ben 130 razze allevate tra le quali ben 38 di pecore, 24 di bovini, 22 di capre, 19 di equini, 10 di maiali, 10 di avicoli e 7 di asini.
Un patrimonio composto da veri e propri tesori della natura e della storia arrivati per l’occasione a San Pietro come l’Asino Amiatino, originario della provincia di Grosseto, in Toscana, dove è conosciuto con l’appellativo di “Miccio”; che per le sue caratteristiche è molto adatto ad essere utilizzato in zone impervie e marginali, o come la Chianina, la più “maestosa” tra le razze bovine italiane.
Ma anche il cavallo maremmano dalla storia antichissima, presente nel litorale tirrenico della bassa Toscana già dal tempo degli Etruschi, tipico dei butteri, assieme al Pentro, cavallo della provincia di Isernia, in Molise, particolarmente resistente alle avversità climatiche e frugale, per questo adattato in un territorio che in inverno vede temperature molto basse e neve.
Arrivata con le invasioni barbariche invece la Marchigiana diffusa in centro Italia, mentre tipico del Nord è il cavallo Haflinger altotesino dalla folta e setosa criniera di colore chiaro e dal carattere docile, adatto a essere utilizzato per terapie assistite con animali, ad esempio riabilitazione di persone con disabilità fisiche o psicomotorie.
In piazza San Pietro anche il maiale nero casertano “calvo”, detto anche di razza “pelatella” perché senza peli, che ha avuto la sua massima diffusione alla fine dell’800 per poi essere riscoperto in tempi recenti con allevamenti allo stato brado o semibrado.
Oppure la pecora sopravissana, diffusa nel Centro Italia.
È nota soprattutto per la lana di ottima qualità, oltre che per la sua versatilità.
E non si possono dimenticare le galline come la Ancona con le sue tipiche penne a pois bianchi per mimetizzarsi meglio nell’ambiente sfuggendo a predatori e anche alla conta dei latifondisti che ne pretendevano una parte dai contadini.
Gli animali custoditi negli allevamenti italiani rappresentano un tesoro unico al mondo che va tutelato e protetto anche perché a rischio non c’è solo la biodiversità delle preziose razze italiane, ma anche il presidio di un territorio dove la manutenzione è garantita proprio dall’attività di allevamento, con il lavoro silenzioso di pulizia e di compattamento dei suoli svolto dagli animali.
L’allevamento italiano è poi un importante comparto economico che vale 17,3 miliardi di euro e rappresenta il 35 per cento dell’intera agricoltura nazionale, con un impatto rilevante anche dal punto di vista occupazionale dove sono circa 800mila le persone al lavoro.
Per questo quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere lo spopolamento e il degrado spesso da intere generazioni.
Salvarico Malleone
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