What I saw on the road, mostra dedicata a Kiki Smith
Alle Gallerie degli Uffizi il progetto “What I saw on the road”, prima mostra monografica in Italia dedicata a Kiki Smith nella cornice di un’istituzione pubblica, ospitata nello spazio dell’Andito degli Angiolini di Palazzo Pitti, ormai consacrato in primavera alle grandi protagoniste dell’arte al femminile.
La mostra riunisce una quarantina di opere che offrono un quadro esaustivo della produzione dell’artista degli ultimi venti anni, tra coloratissimi arazzi in cotone jacquard, fragili sculture in bronzo, argento e legno, opere su carta.
Rivendicando con un orgoglio un posto nell’arte cosiddetta femminista, la tematica centrale e pressoché esclusiva di Kiki Smith è stata fino agli anni novanta la corporeità, e il corpo femminile in particolare, fragile, mortale, spesso lacerato e addirittura smembrato, ma anche eroicamente e fieramente capace di riscatto e ribellione.
Nella produzione più recente, esposta in mostra, la sua riflessione si è allargata invece a considerare in maniera più articolata ciò che accade fuori dal corpo: What I saw on the road.
E ciò che capita di osservare e interagisce con la nostra esistenza se si presta attenzione e si considera con sguardo poetico il rapporto tra corpo e mondo e tra uomo, natura e cosmo.
A Palazzo Pitti, Kiki Smith mette in scena una splendida favola della natura che ha come protagonisti animali sui quali saremo naturalmente portati a trasporre sentimenti e paure umane, intrichi di boschi incantevoli quanto pieni di ostacoli e fantasiosi abitanti di galassie lontane.
“È una cosmografia contemporanea utile a ribadire quella continuità organica, psicologica, spirituale e dell’immaginario che non conosce gerarchie tra gli esseri viventi e che costituisce lo sfondo comune sul quale si disegnano le vicende dell’intero universo naturale”, un invito a riflettere sulla preziosa vulnerabilità della condizione umana rispetto alla complessità della vita, aggiunge Renata Pintus, che con Eike Schmidt ha curato la mostra.
Nell’arte di Kiki Smith cambiano i riferimenti e il risultato è una rischiosa fragilità dell’essere umano in rapporto alla natura e al cosmo.
Così la superficie luminescente e preziosa del metallo, nella scultura Girl, rende ancora più evidenti i segnali di una sessualità femminile vulnerabile, disarmata, esposta alla violenza; e le figure umane di tanti arazzi sono come smarrite in un universo dove serpenti, pipistrelli, perfino i rami secchi di un albero possono costituire altrettanti pericoli mortali.
Gli animali sono umanizzati, osservati con meraviglia, ma anche con profonda simpatia, e diventano protagonisti di un moderno bestiario: fratelli o nemici, impauriti o aggressivi, sono anch’essi persi in intrichi vegetali densi di mistero e di minaccia.
La cultura figurativa e il ricchissimo immaginario di Kiki Smith scandagliano gli aspetti spirituali e viscerali dell’essere umano, in un percorso che in precedenza ha trovato una sintesi quasi archetipica nella corporeità femminile – come ben illustrato in catalogo da Demetrio Paparoni – e che oggi si esprime attraverso la “favola della natura” di cui parla Renata Pintus: una favola popolata da compagni di viaggio animali, vegetali, siderali e anche extraterrestri in un universo tanto vasto quanto familiare e di cui le donne continuano a essere le indiscusse protagoniste. L’elegantissima grazia di questi recenti lavori di Kiki – la cui materia spesso fragile e preziosa è una metafora efficace della condizione umana e femminile in particolare – ha come obiettivo altamente etico di ricreare unità e armonia in una realtà che spesso si presenta invece come brutale e dissonante e sprigiona un’energia profondamente rivoluzionaria: è il linguaggio di una nuova, inaspettata, spiazzante pietas.
La mostra e il catalogo si addentrano nel difficile terreno dell’evoluzione poetica di Kiki Smith, che rifugge da grida e proclami, ma che trova pace nell’osservazione, nello sperdimento.
Si avverte certo un elemento autobiografico in queste opere – se si pensa ai boschi e alla qualità selvaggia dell’Upstate New York, dove l’artista vive e lavora -, tuttavia la grande arte contemporanea, questa arte, non è eccentrica né autoreferenziale, ma entra nella carne viva dei nostri giorni, e diventa uno strumento fondamentale per leggere la complessità del reale, per attivare in tutti noi un indispensabile pensiero critico.
Info: www.uffizi.it e-mail:firenzemusei@operalaboratori.com
Roberto Cantini
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