Roberto Formigoni facile esca per sciacalli e cannibali
Dopo che «il miglior Governatore in assoluto di tutte le Regioni italiane» (Berlusconi) è entrato nel carcere di Bollate per scontare una pena di 5 anni e 10 mesi per “corruzione”, in giro, nei giorni scorsi, si son letti praticamente quasi solo necrologi.
Così, anzitutto, voglio rassicurare il lettore: Roberto Formigoni è vivo.
Vivo. E insieme a noi. Nonostante la montagna di ostilità, invidia, cattiverie, che si è trovato a portare fin dentro la cella di un carcere.
Certo, affiorano domande e pensieri circa l’onestà intellettuale di tante persone e istituzioni molto decorose e perbene.
Perché, ad esempio, il “moderato” Corriere della Sera lo ha trattato a sputi in faccia, mentre la dichiaratamente avversa Repubblica ha conservato un certo aplomb e finanche rispetto per il gigante caduto nella polvere?
Non c’era da aspettarsi niente dal Fatto Quotidiano. Eppure, anche lì, c’è stato qualcuno che non ha avuto la bava alla bocca.
Comunque, tutto molto all’insegna del colore. Di fatti, invece che di fondi di tazzine del caffè, c’è stata lettura e interpretazione solo tra i più eccentrici numeri uno del giornalismo. Come Giuliano Ferrara e Vittorio Feltri.
Mentre per il resto, è toccato ai lombardi (imprenditori, politici, cittadini comuni) rammentare la fortuna di aver vissuto 18 anni sotto un governatore che ha garantito loro la migliore sanità. In Italia e, per molti aspetti, anche in giro per il mondo più progredito. Governatore – il migliore, il Celeste, il numero 1 – che ha fatto della Lombardia un’impresa vincente.
E una società civile evoluta. Senza contrarre debiti. Viaggiando con il vento della crescita in poppa. I bilanci a posto. I servizi stellari. Le infrastrutture a mille. E senza egoismi etnocentrici.
Ovvero facendo della Lombardia la regione più generosa e solidale con le regioni italiane messe peggio, apportando il più alto contributo al “fondo nazionale di solidarietà” e finanziando lo Stato centrale come nessuno in Italia. Eccetera. Ai posteri.
Ricordo che il suo segreto di politico e governatore “migliore in assoluto” lo ha tirato fuori dai tesori vecchi e nuovi del cattolicesimo ambrosiano. E non aveva ricette se non l’ottimismo fino alla giacca arancione. E una forza che negli ultimi tempi ha potuto sfiorare l’arroganza (più per solitudine che per vanità onnipotente).
Ebbene, i segreti di un successo che ci riguarda, perché Formigoni è in galera ma noi lombardi stiamo meglio di tutti gli italiani, è che Formigoni ha voluto dire governo della libertà, della sussidiarietà e della competenza.
Personalmente vi dico anche questo visto che è stata una telefonata che Formigoni mi fece nel 1996, nei primi tempi del suo governo.
«Luigi, dobbiamo occuparci della condizione dei carcerati. Te la senti di darmi una mano?». Ecco chi è Formigoni.
Mentre è inutile che ci dilunghiamo nei confronti.
Le persone oneste hanno in mano Internet possono informarsi anche solo a grandi linee e comparare qualsiasi regione italiana con la situazione lombarda anche dopo il 2008 di fatidica recessione internazionale.
Per dire, nel 1999 il governo D’Alema fece pagare agli italiani il fallimento del Policlinico di Roma ripianando il buco stramiliardario con un decreto legge ad hoc.
Per dire, la Regione Calabria non aveva neppure i bilanci fino alla fine del primo decennio 2000 (adesso non so, ma so che tante ciance su n’drangheta e mafia coprono la verità che lo Stato centralista è la madre e il padre di tutte le mafiosità). Eppure la Corte dei Conti è presente anche in Calabria.
Per dire, e tre, ma si potrebbe continuare per un volume enciclopedico (vedi alla voce “Luca Ricolfi”) nel decennio tra il ’99 e il 2010, quasi tutte le Regioni italiane viaggiavano alla media di 1 miliardo di buco in sanità l’anno, rimborsavano a piè di lista (cioè non si sa neanche quanto rubavano in giro), nel mentre la Lombardia produceva quello che ha prodotto: un sistema sussidiario di eccellenza internazionale.
Adesso in un certo senso mi verrebbe voglia di scrivere un libro. O magari la sceneggiatura di un film.
Perché prima dei 18 anni da governatore in Lombardia, Formigoni ne aveva già macinati una trentina, dal ’68 in avanti, come leader di movimento, attivista internazionale, politico eletto in Europa con 500 mila preferenze, vicepresidente di Parlamento Europeo, pacifista in Iraq durante la prima guerra del Golfo (riportando a casa gli italiani che erano stati presi in ostaggio dai regime di Saddam).
Il suo e il nostro problema però, è che non abbiamo vissuto in un Paese normale, dal potere feroce ma onesto.
Abbiamo vissuto sempre nello stesso paese cattivo e ipocrita, tra due bandi di preti, i preti-preti e i laici-preti, che tra l’altro dal 1993 in avanti è diventato peggio, molto peggio della cosiddetta Prima Repubblica.
Non a caso dal 1993 a oggi l’Italia è stata spazzata via dalla classifica dei paesi più industrializzati del mondo, ha perso venti punti di Pil, si ritrova più a fondo della Grecia, spaccata e con due economie ormai a rischio rottura e visivamente rappresentate da un governo bifronte, di partito del sud e partito del nord.
Non a caso il giornalismo italiano riflette questa scena nazionale: piuttosto che presidiare i fatti, è andato dietro alle potenze angeliche.
Boffi lo ha scritto molto bene a proposito del giornalismo che si è specializzato sulla giudiziaria al punto che sono diventati milionari quelli del quotidiano che si occupa solo di manette.
È facile specializzarsi in giudiziaria stando dalla parte dell’accusa, evitando accuratamente i fatti della difesa, adattandosi alla funzione di zerbini dei pubblici ministeri e delle gogne che dalla tv facilmente poi arrivano in piazza.
Ma abbiamo visto sparire l’eroe di una stagione, il tabaccaio dei valori.
Sono certo che vedremo sparire anche questi qui.
Così, non dobbiamo avere nessuna ansia devota né preghiera birichina per Formigoni in galera.
A ognuno il suo lavoro.
Mi spiace che Werner Raith sia morto da un po’. Era un grande collega tedesco, corrispondente da Roma per una specie di Manifesto di Berlino, mi pare Berliner Tageszeitung.
Ci disse (allora eravamo ancora al Sabato), che gli faceva schifo la maniera di come stavano lavorando Andreotti.
«Lo fate fuori nei tribunali invece che alle elezioni, ma si capisce, caduto il Muro agli americani non serve più Andreotti, né l’Italia Dc».
Infatti basterebbe guardare dentro ai dossier americani per capire l’Italia del nuovo millennio.
«E voi siete così adesso – diceva allora Raith – lavorate con quello che c’è dentro ai cassetti dei magistrati. Mentre nella Prima Repubblica qualcosa di inchiesta indipendente si vedeva ancora».
Che vita sarebbe vivere da zerbini, sempre al seguito delle ultimissime grida spagnole?
Così anche nella scena di un potente sconfitto che entra in carcere per essere dimenticato tra gli sputazzi e le grida spagnolesche si riverbera la storia.
La millenaria storia di uomini e no.
Gigi Amicone fondatore di Tempi
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