Aumenta il valore del riso italiano con l’etichetta d’origine
A un anno dall’entrata in vigore dell’obbligo di indicare in etichetta l’origine del riso aumentano fino al 75% le quotazioni dei raccolti Made in Italy dopo essere scesi su valori insostenibili per i produttori.
È quanto emerge da una analisi della Coldiretti che ha fortemente sostenuto la nuova normativa sull’obbligo di indicare la provenienza in etichetta entrata in vigore nel febbraio 2018 in una situazione di grave rischio per la sopravvivenza della coltura in Italia.
Secondo lo studio della Coldiretti, le quotazioni nell’arco di un anno sono aumentate del 70% per la varietà Arborio che ha raggiunto i 520 euro a tonnellata, mentre per il Selenio l’incremento è stato addirittura del 75% con 490 euro a tonnellata.
Variazioni positive anche per tutti gli altri risi Made in Italy: dal Roma +54% al Sant’Andrea +49%, dal Carnaroli + 55% al Vialone Nano +32% fino al Lungo B +20%.
L’assenza dell’indicazione chiara dell’origine non consentiva di conoscere un elemento di scelta determinante per le caratteristiche qualitative ed impediva anche ai consumatori di sostenere le realtà produttive nazionali e con esse il lavoro e l’economia del territorio.
L’indicazione in etichetta dell’origine per il riso deve riportare le diciture “Paese di coltivazione del riso”, “Paese di lavorazione” e “Paese di confezionamento”.
Qualora le fasi di coltivazione, lavorazione e confezionamento del riso avvengano nello stesso Paese, può essere recata in etichetta la dicitura “origine del riso”, seguita dal nome del Paese.
In caso di riso coltivato o lavorato in più Paesi, possono essere utilizzate le diciture “UE”, “non UE”, ed “UE e non UE”.
Alla valorizzazione della produzione nazionale ha contributo però anche lo stop all’invasione di riso asiatico nell’Unione Europea che da metà gennaio 2019 ha messo finalmente i dazi sulle importazioni provenienti dalla Cambogia e dalla Birmania (ex Myamar) che fanno concorrenza sleale ai produttori italiani.
Nel dettaglio sono previsti dazi solo sul riso Indica lavorato e semilavorato per un periodo non superiore a tre anni, con un valore scalare dell’importo da 175 euro a tonnellata nel 2019, a 150 euro a tonnellata nel 2020 fino a 125 euro a tonnellata nel 2021 ma è possibile una proroga ove sia giustificata da particolari circostanze.
Si tratta del risultato della mobilitazione della Coldiretti nelle piazze italiane e nelle sedi istituzionali che ha portato al via libera all’etichetta Made in Italy a livello nazionale mentre Bruxelles ha riconosciuto il danno economico generato dai volumi di importazioni di riso, che nell’arco dal 2011/12 al 2017/18 sono aumentati del 256% giustificando l’attivazione della clausola di salvaguardia e lo stop alle agevolazioni a dazio zero.
È un primo passo perché ora bisogna lavorare per estenderli anche al riso non lavorato.
Un obiettivo che potrebbe arrivare presto a seguito della verifica in atto da parte dell’Unione Europea sul deterioramento dello stato dei diritti umani e dei diritti dei lavoratori nel Myamar che potrebbe determinare l’avvio di una procedura per la sospensione del regime preferenziale EBA, come già accaduto alla Cambogia, che porterebbe al ripristino strutturale dei dazi anche per il riso non lavorato.
In gioco c’è il primato dell’Italia in Europa dove il nostro Paese è il primo produttore di riso con 1,40 milioni di tonnellate su un territorio coltivato da circa 4mila aziende di 219.300 ettari, che copre circa il 50 % dell’intera produzione Ue con una gamma varietale del tutto unica.
Niccolò Rejetti
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