Hidetoshi Nagasawa, l’artista del dialogo tra oriente e occidente
Dopo la recente scomparsa, la galleria Il Ponte dedica a Hidetoshi Nagasawa, artista con cui ha collaborato più volte a partire dalla mostra Interferenza, tenutasi in galleria nell’ottobre-dicembre 2005, dedica una retrospettiva incentrata su un nucleo di opere realizzate dal 1969 al 1979 perché in questi anni Nagasawa, giunto in Italia nel 1967, definisce a nostro avviso il suo modo di essere artista.
La mostra si apre con Pulverize – Cloth Bucket del 1969, opera di carattere concettuale, coerente con la koiné di quegli anni, a cui si legano, all’insegna della tautologia, Firma, 1970, riproducente la sola scrittura della firma dell’artista, e Linea, 1971, ottenuta tracciando una linea nera su un tessuto montato su telaio ligneo.
Il percorso espositivo si concentra poi su opere il cui la sostanza scultorea prende forma.
L’Oro di Ofir del 1971 è il risultato, fuso poi in oro, dello spazio interno alla stretta dei due pugni dell’artista e rappresenta una primigenia forma di scultura dell’uomo.
A partire dal 1972 le opere entrano nel campo stretto della scultura.
Attraverso Un’altra metà, 1972, testimonianza di alcune sculture che combinano materiali diversi, in questo caso pietra e bronzo, potrebbe aver avuto origine l’ideazione di Colonna, 1972, che è uno dei capolavori della scultura di Nagasawa negli anni Settanta.
L’estesa forma serpentina, infatti, composta da ben undici sezioni di marmo diverso, dà corpo a un passaggio da un modo d’essere ad un altro, la Colonna è come il corso di un fiume capovolto.
Gli elementi che formano la Colonna non hanno alcuna relazione materiale storica, ogni sezione proviene da cave tra loro lontane, ma la relazione è di risonanza, ogni sezione combacia perfettamente con la successiva e la precedente.
Del 1974 é Presentazione al tempio, dove Nagasawa, con il rilevamento e la ricollocazione di centinaia di punti su due tele disposte su telaio, restituisce la struttura plastica di due celebri dipinti con questo tema, quelli di Giovanni Bellini e Andrea Mantegna, sottolineandone la diversità dei numerosi dettagli.
Quasi a dirimere la storica disputa tra i due grandi artisti in ordine alla priorità temporale di invenzione delle due opere.
In Viti di Baghdad, 1975, Nagasawa più esplicitamente ora si confronta con un ambiente en plein air, considerando nell’opera anche l’azione mutevole di elementi naturali che la circondano, come ad esempio la luce solare.
Rinvenute in campagna, parti di due tronchi di vite, Nagasawa le riproduce numerose volte con una fusione in bronzo, sino a ottenere i quattro sostegni del suo baldacchino.
Al centro del baldacchino ricoperto da un tessuto di seta sorretto dalle viti contorte vi è la metà di un sasso; l’altra metà è all’esterno.
In Rotolo, 1979, calco e successiva fusione in bronzo dorato di un “enorme fagiolo (un seme di metri 1,20) trovato in Brasile” il baccello fuoriesce dai rami della pianta anch’essa sbalzata in bronzo su un rotolo egualmente di bronzo come se la sua storia fosse pronunciata direttamente dal rotolo che la racconta.
Ciò che rende unica questa scultura è l’abnormità della dimensione della manifestazione naturale,la quale rivela che la realtà è assai più stupefacente di quanto si possa immaginare.
Infine, la mostra presenta quattro opere realizzate da Nagasawa con la carta tra il 1976 e il 1977. Sono tra le prime elaborate con intento plastico, considerando la carta come materiale scultoreo, anziché come supporto a disegni e progetti.
Le opere in carta presenti in mostra a Firenze (Lavoro di carta – cucito, 1976, Lavoro di carta – intreccio, 1976, Lavoro di carta – rete, 1977 e Lavoro di carta – triangolo, 1977) recano ognuna un diverso principio di resa plastica nei modi di occultare, ispessire, sezionare, annodare, sovrapporre, tagliare; qualità di azioni che fanno vivere il materiale senza volerlo superare e snaturare.
Roberto Cantini
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