I signori del rating S&P riducono le stime di crescita in Ue
Gli economisti di S&P Global Ratings tagliano le attese di crescita dell’Eurozona dal +1,6% di fine dicembre 2018 al +1,1% attuale.
La ragione sta nella frenata dei due maggiori poli industriali europei, quello tedesco e quello italiano.
Sia la Germania che l’Italia stanno infatti risentendo della guerra dei dazi fra Stati Uniti e Cina, che ha rallentato la crescita mondiale.
A ciò si aggiunga che Pechino è il secondo partner commerciale per importanza per i due Paesi.
Ma il cielo non è così grigio come appare.
Per S&P, infatti, la debolezza economica emersa alla fine dello scorso anno pare momentanea e di fatto porterà a una performance inferiore di Italia e Germania nel corso del 2019 rispetto alle altre nazioni europee.
Ma il dato negativo viene bilanciato dalla decisione della Bce di rinviare la normalizzazione dei tassi all’inizio del 2020 confermando la circolazione a basso costo del denaro in Europa.
E questo sta rinforzando la domanda interna, vero motore di crescita dei Paesi grazie anche a prezzi dell’energia ancora contenuti, che terranno l’inflazione nell’eurozona ferma al +1,3% quest’anno, in calo dal +1,8% del 2018.
Il mercato interno del lavoro, poi, ha visto il tasso medio di disoccupazione scendere al 7,9%, il livello più basso dal 2008, con un aumento in parallelo degli stipendi del 2,2-2,4% nel quarto trimestre del 2018, ai massimi dal 2012.
Elementi positivi che permetteranno all’Eurozona di tornare a crescere ad un ritmo del +1,4% nel 2020, annota S&P.
Oggi l’agenzia Reuters ha scritto che i colloqui Usa-Cina sulla guerra dei dazi sono finalmente ripresi e che sono appena arrivati a Pechino il rappresentante del commercio americano Robert Lighthizer e il segretario al Tesoro Steven Mnuchin per trovare una soluzione positiva al delicato argomento del trasferimento di tecnologia, uno dei motivi scatenanti delle tensioni fra le due super potenze negli ultimi mesi.
E sempre oggi il premier Li Keqiang, parlando al forum annuale di Boao, sull’isola cinese di Hainan, dove era presente anche il ministro delle Finanze Giovanni Tria, ha anticipato che a breve Pechino aumenterà notevolmente l’accesso al mercato per le banche estere, le società di assicurazioni e i fondi comuni di investimento.
La Cina è un Paese gigantesco che interessa molto ai gruppi finanziari europei.
Si parte subito con il mercato da 13mila miliardi di dollari di obbligazioni cinesi in yuan, prima che queste ultime vengano incluse nel Bloomberg Barclays Global Aggregate Index, uno degli indici più importanti al mondo, in programma già da lunedì prossimo.
Negli ultimi anni la Cina ha facilitato l’accesso al segmento delle obbligazioni attraverso il Bond Connect di Hong Kong, ma gli investitori esteri hanno ancora difficoltà a operare con gli strumenti di copertura.
Salvarico Malleone
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