Le banche foraggiano ieri come oggi gli inaffidabili
Malgrado una decina di istituti di credito sia stata costretta alla chiusura e un altro paio abbia evitato la stessa fine grazie all’intervento pubblico, in linea generale le banche continuano ancora adesso a premiare chi affidabile non è, penalizzando tutti gli altri.
Un’anomalia tutta italiana che negli ultimi anni ci ha costretto, anche a causa della mancata restituzione dei prestiti in massima parte ascrivibili a famiglie industriali, a gruppi societari e a grandi aziende, un maxi salvataggio di oltre 60 miliardi di euro: per oltre un terzo a carico dei contribuenti, il resto suddiviso tra azionisti, obbligazionisti e istituti bancari concorrenti.
Ad affermarlo è l’Ufficio studi della CGIA.
La denuncia della CGIA è la seguente: la quota di finanziamento per cassa ottenuta dal primo 10% degli affidati è stata pari, al 31 dicembre 2018, all’80,7% del totale, mentre la quota di sofferenze in capo sempre a questo segmento di clientela è il 77,2% del totale.
Non si tratterà sempre degli stessi soggetti, tuttavia, la probabilità che molti di questi lo siano è parecchio elevata.
Per contro, il restante 90% dei clienti (artigiani, negozianti, famiglie, p. Iva, lavoratori autonomi, piccoli imprenditori, etc.), ottiene solo il 19,3% dell’intero stock di finanziamenti per cassa erogati, sebbene l’incidenza delle sofferenze bancarie riconducibili a questi soggetti sia soltanto il 22,8%.
È palese che questo primo 10% di affidati non è certamente costituito da piccoli imprenditori o da titolari di partite Iva, ma quasi esclusivamente da grandi gruppi o società industriali.
In linea generale non ci sarebbe nulla da obbiettare se questi ultimi fossero solvibili.
Dall’analisi della distribuzione del tasso di insolvenza, invece, emerge che la stragrande maggioranza è concentrata nelle mani di questo ristrettissimo club di clienti definiti migliori.
Nei rapporti tra banche ed imprese tutto è rovesciato: chi riceve la quasi totalità dei prestiti presenta un livello di affidabilità bassissimo, mentre chi dimostra di essere un buon pagatore ottiene il denaro con il contagocce.
Questa singolarità,tutta italiana,presenta delle differenze molto marcate tra il Centronord e il Mezzogiorno.
Le aree più avanzate del paese sono anche quelle dove si concentrano maggiormente le più importanti grandi imprese. In questi territori, infatti, le sofferenze bancarie e le quote di prestiti riconducibili al primo 10% di affidati sono più evidenti.
Viceversa, dove la presenza delle grandi famiglie industriali è più modesta, come al Sud, anche l’incidenza delle sofferenze e degli impieghi ascrivibili a questa tipologia di clientela è più contenuta.
È inoltre interessante notare come tra le prime 15 province che registrano la quota di insolvenza più elevata causata dai clienti top,troviamo ben 6 realtà territoriali dell’Emilia Romagna.
Dalla CGIA, inoltre, segnalano che la quota di finanziamento per cassa erogata al 31 dicembre 2018 era pari a 1.137 miliardi di euro2. Le sofferenze lorde, dopo le vette raggiunte nel quadriennio 2014-2017, sono in calo e al 31 dicembre scorso si sono attestate a 98,4 miliardi di euro.
Anche analizzando il peso delle insolvenze bancarie per classe di grandezza, si evince che l’incidenza sui medi-grandi prestiti (da 500 mila euro in su) è pari al 64,2% del totale.
Un dato, questo del dicembre 2018, addirittura superiore a quello registrato nel 2011 (61,4%), anno di picco massimo degli impieghi erogati dalle banche alle imprese.
Non solo, analizzando l’andamento registrato tra il dicembre 2011 e dicembre 2018, le sofferenze bancarie sono diminuite percentualmente in tutte le classi inferiori (da 0 a 1 milione di euro), mentre sono aumentate nel range tra 1 e 25 milioni.
A livello provinciale, il primo 10% di affidati maggiormente “premiato” dalle banche è quello di Milano che, al 31 dicembre 2018, ha ricevuto il 94,5% del totale dei finanziamenti erogati per cassa alle società non finanziarie, pur avendo in capo l’80,4% delle sofferenze totali (9,2 miliardi di euro).
Seguono Treviso (91,9% e il 71,2% di sofferenze pari a 1,6 miliardi), Roma (86,4% e l’81,5% delle insolvenze pari a 9,2 miliardi) e Reggio Emilia (84,4% di prestiti con una quota di sofferenze dell’84,7% che corrisponde a 1,3 miliardi di euro).
Se si analizza la graduatoria provinciale solo dell’incidenza delle sofferenze causate dal primo 10% di affidati, emerge che al primo posto c’è La Spezia (86,9%), al secondo Reggio Emilia (84,7%) e al terzo (Modena 82,5%). A seguire Bolzano (82,3%), Roma e Cagliari (entrambe all’81,5%).
Secondo il “Rapporto Economico sull’Italia” presentato nei giorni scorsi dall’Ocse, la redditività delle nostre banche è in via di miglioramento.
Tuttavia, rimane ancora bassa e questo sta inducendo molti istituti a diversificare i ricavi.
Come? Riducendo i finanziamenti che con tassi di interesse attivi molto contenuti e un livello di sofferenze ancora importante rende questo servizio meno conveniente di un tempo.
Per queste ragioni molti istituti di credito stanno spostando il proprio business su attività meno rischiose. Vale a dire sulle prestazioni accessorie e di natura finanziaria. Seppur in calo, non va nemmeno dimenticato che le sofferenze bancarie hanno ancora delle dimensioni economiche importanti.
Alla luce di ciò, molte banche sono state costrette ad aumentare gli accantonamenti e, conseguentemente, a ridurre le erogazioni di credito o a concedere i prestiti a condizioni più rigide. Una situazione che ha provocato riflessi negativi, soprattutto per le piccole imprese.
Come riporta l’ultimo Bollettino Economico della Banca d’Italia nel 2018 in tutti i settori economici i prestiti alle società non finanziare di minore dimensione si sono ulteriormente contratti (-3,2%).
Salvarico Malleone
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