Le stagioni di sangue delle brigate rosse e gli anni di piombo
La sinistra ha una furia esagerata di cancellare quelle pagine della storia a lei sgradite. Detesta libri, pellicole e dibattiti sulle foibe, disprezza quanti aprono gli armadi insanguinati dalle brigate rosse e dalle centinaia di sigle comuniste finanziate da Mosca e da facoltosi sobillatori di sinistra.
Molti di quegli assassini a distanza di decenni ancora non hanno fatto i conti con la giustizia e se la spassano oltre confine tutelati dalla “dottrina Mitterand”, scaturita da una norma fatta approvare dal presidente francese nel 1982 in base alla quale “la Francia valuterà la possibilità di non estradare cittadini di un Paese democratico autori di crimini inaccettabili … il cui sistema giudiziario non corrisponda all’idea che la Francia ha delle libertà”.
Brigatisti delinquenti che avevano seminato terrore, odio e sangue sul suolo italiano avevano trovato un porto sicuro e tranquillo oltralpe. Assassini come Cesare Battisti, Giorgio Pietrostefani, Walter Grecchi o pensatori e mandanti come Toni Negri, Oreste Scalzone coraggiosamente e a testa alta se l’erano svignata di notte in direzione Parigi insieme ad altri 300 assassini comunisti.
Antonio Iosa era un dirigente Dc milanese, il 1° aprile 1980 si trovava nella sede della sezione di Via Mottarone 5 insieme ad altri democristiani quando fecero irruenza quattro brigatisti armati. Senza un motivo e senza alcuna pietà un delinquente rosso lo fa inginocchiare e gli spara un colpo al ginocchio. Subirà trentaquattro operazioni ma la gamba non si riprenderà. Oggi Antonio Iosa ha 86 anni e non ha dimenticato quei momenti di Via Mottarone 5 e quegli anni di piombo. Ecco cosa ha scritto in ricorrenza del 39° anniversario.
Guglielmo d’Agulto
39 Anni fa, il 1° Aprile 1980 le brigate rosse della colonna Walter Alasia condannarono a morte me ed altri tre amici democristiani durante l’attentato terroristico compiuto alla sezione DC di via Mottarone 5 a Milano, in un’azione di rappresaglia per l’uccisione di quattro terroristi il 28 Marzo in via Fracchia a Genova da parte dei carabinieri dell’antiterrorismo. Quando il giovane brigatista, imbavagliato e incappucciato, mi prescelse per il rito dell’esecuzione sommaria assieme ad altri tre amici di partito osai rivolgergli la parola dicendogli: “Non spararmi ho moglie e due figli di 7 e 10 anni”.
La risposta del terrorista fu quella di puntarmi la pistola alla tempia sinistra, urlando: “Inginocchiati Stronzo! ”.
Poi insieme ad altri tre amici fui sospinto in fondo alla parete della sala per il rito dell’esecuzione, al quale assistevano atterriti una quarantina di soci ammutoliti. Il commando delle brigate rosse, composto da quattro terroristi, ingiunse d’inginocchiarci, ma nessuno dei quattro lo fece, e allora ebbero un momento d’esitazione di fronte alla presenza del pubblico che assisteva alla macabra scena. Per fortuna anziché mirare alla testa come avevano deciso, i terroristi esplosero i colpi delle armi da fuoco mirando alle gambe e non alla testa.
Fu la nostra salvezza!
Gli anni di piombo sono tuttora una “ferita aperta” e le vicende dei terroristi fuorusciti e il caso emblematico di Cesare Battisti del Pac, confermano quanto sia difficile chiudere la stagione degli “Anni di Piombo”, quando la consapevolezza del male compiuto e il ravvedimento sono troppo tardivi.
Ancora più difficile risulta la “riconciliazione” con gli ex terroristi che legittimano la lotta armata come rivoluzione possibile per trasformare la società italiana degli anni ’70 in una logica rivoluzionaria leninista e adducendo nobili ragioni all’eversione armata contro il nostro ordinamento democratico scaturito dalla Costituzione Repubblicana. I terroristi non sono stati né eroi, né nuovi partigiani per regalarci un mondo migliore con un regime comunista in Italia, ma sono “ora e sempre” da considerare delinquenti e assassini di vittime innocenti.
La lotta armata fu una tragedia nazionale che provocò 489 vittime e migliaia di feriti, seminando odio, violenza, fanatismi, omicidi, stragi e distruzione dei valori umani, sociali e democratici. Bene fa la nostra Costituzione a rieducare tutti i detenuti nelle carceri e anche i terroristi per recuperarli e integrarli nella società.
Non è invece scritto nella nostra Costituzione un comma che legittima la lotta armata, dia un riconoscimento a chi ha commesso delitti politici e tanto meno preveda di mettere in cattedra gli ex terroristi, come spesso accade nella realtà della situazione politica di ieri e di oggi.
Oggi assistiamo con sgomento a terroristi che continuano a predicare il mito rivoluzionario della lotta armata con le loro convinzioni da irriducibili e sono anche invitati a partecipare ad iniziative culturali, convegni e lezioni educative salendo in cattedra, persino in ambienti istituzionali, per parlare della lotta armata come pentiti, dissociati o nostalgici di un stagione di odio e di violenza.
Gli ex terroristi hanno la pretesa di educare i giovani alla legalità, alla non violenza, al rispetto della vita umana e questo non è scritto nella nostra Costituzione, ma solo nella mente dei perdonisti ad ogni costo che accusano lo Stato di detenzione della violenza carceraria e di pene ingiuste comminate ai protagonisti degli anni di piombo equiparati nelle sofferenze alle vittime.
Molti cosiddetti “pentiti o dissociati” cercano sempre la giustificazione dell’assassinio politico in nome di un fanatismo ideologico e in virtù di una presunta giustizia riparativa che di fatto legittima la lotta, equiparando vittime e carnefici in un unico concetto di sofferenza e d’ingiustizia patita: le vittime con l’uccisione dei loro cari, i carnefici con la carcerazione inflitta da uno Stato detentore assoluto della violenza, per cui viene chiesta l’abolizione carceraria per sostituirla con l’utopia del sistema della giustizia riparativa che spesso aggrava i problemi e distorce la verità storica per mancanza di consapevolezza di chi commette il male e preferisce che il carcere sia anche un centro di educazione alla malavita e al non pentimento.
Capita spesso che i terroristi e gli artefici della campagna innocentista d’intellettuali compagni di merenda e firmatari di roboanti appelli e manifesti continuano a solidarizzare con gli assassini per denunciare la deriva liberticida e autoritaria succube dei servizi segreti deviati degli anni ’70, senza avere la consapevolezza che all’epoca i valori della libertà e della democrazia sono stati salvaguardati dai partiti politici di governo che hanno combattuto e sconfitto kle trame eversive di estrema destra stragista e di estrema sinistra rivoluzionaria.
Per quanto mi riguarda” Nessuno tocchi Caino, ma nessuno dimentichi Abele” e invito tutti al dovere della “Memoria per non dimenticare le vittime”, è l’unico modo per farle rivivere tra noi.
Antonio Iosa
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